Le immense risorse naturali della Repubblica Democratica del Congo – foreste pluviali, riserve idriche, piantagioni di caffè, zucchero, cotone e ciò che è nascosto nel sottosuolo: petrolio, diamanti, oro, rame e soprattutto coltan – hanno condannato questo Paese ad essere un vero e proprio inferno. Si perché alla base del conflitto che da oltre 20 anni lo insanguina c’è l’estrazione del coltan, il raro minerale di cui la Repubblica Democratica del Congo (un’ex colonia belga) detiene il 50% dei giacimenti mondiali e che è la materia prima fondamentale per la produzione di telefoni cellulari e computer. Le miniere sono concentrate nell’Est del Paese, precisamente nella regione di Kivu. Come riporta lastampa.it, le condizioni dei minatori, di cui molti sono giovanissimi ragazzi, sono al limite della sopravvivenza, ma soprattutto sono nelle mani delle bande armate che li derubano, li uccidono e violentano le loro donne per assicurarsi il controllo delle miniere. La guerra che è nata proprio per garantire il monopolio del coltan nelle mani di pochi affaristi, ha causato migliaia di vittime, costringendo la popolazione in uno stato di assoluta povertà. Un’altra regione della Repubblica Democratica del Congo ricca di giacimenti minerari è il Kasai, dove sono in corso da mesi scontri e incursioni che hanno causato oltre 3mila morti. Secondo suor Lucie Tokoyo, come si legge su “Agenzia DIRE” (dire.it), missionaria comboniana da anni nel Paese, “c’e’ il rischio che gli scontri nel Kasai siano utilizzati dal presidente Joseph Kabila per rinviare le elezioni all’infinito”. La suora continua sottolineando “Kabila vuole sfruttare la crisi per sostenere che i registri elettorali non possono essere aggiornati e per rinviare cosi’ il voto a tempo indeterminato”. L’ultimo mandato di Kabila permesso dalla Costituzione è scaduto alla fine del 2016, e con la mediazione della Chiesa cattolica si è prevista la nascita di un esecutivo di coalizione ma l’attuazione del compromesso, che passerebbe comunque per un voto entro il 31 dicembre 2017, si e’ scontrato con ritardi e resistenze. Sempre secondo la suora, Kabila non sembra disposto a fare passi indietro.