Siamo oggi in “compagnia” di Cesare Lanza decano e rinomato giornalista italiano. Uno di quelli, per intenderci, che ha fatto la storia della categoria nel Bel Paese. La sua biografia ed i suoi trascorsi professionali sono noti e reperibili a tutti grazie ai motori di ricerca. Cesare Lanza è direttore di La Mescolanza.com, Il Decorder.com e Attimo-fuggente.com, testate on line che si sono ritagliate ognuna uno spazio ben definito sul web e che fanno parte, come noi de ilmetropolitano.it di reteitaliaweb.net. E’ il fondatore del Premio Socarate (un riconoscimento contro la rassegnazione e i favoritismi per la valorizzazione del merito), da qualche giorno assegnato a Milano nella sua edizione del 2017.
Cesare Lanza una storia ed una vita “legata” anche al giornalismo, il tuo primo articolo lo hai pubblicato a soli 14 anni. Da poco hai festeggiato i 60 anni della professione. Quali sono i momenti cardine della tua carriera?
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Prima di tutto tengo ad una precisazione. La mia vita non è legata “anche” al giornalismo. La mia vita è il giornalismo: la penso come il vecchio maestro Gaetano Afeltra. Il giornalismo è un sacerdozio, una vocazione prioritaria rispetto a qualsiasi altra occupazione, tentazione, attività. Afeltra addirittura diceva che i giornalisti dovrebbero essere scapoli, orfani e bastardi. Qualche volta aggiungeva: senza religione. Io non ero orfano, mi sono sposato due volte, ho avuto cinque figli. Ma, nell’intimo, mi consideravo come Afeltra voleva. Ai sentimenti spesso ho anteposto il giornalismo. Anche quando ho smesso di dirigere giornali e mi sono occupato di programmi televisivi. Momenti cruciali? Certo l’intervista esplosiva ad Indro Montanelli, che lo obbligò a lasciare il Corriere della Sera e a fondare il Giornale, resta memorabile (rispondo alla vostra domanda, non mi piace auto citarmi). Credo che il mio modo di occuparmi di comunicazione abbia avuto soprattutto un merito: ho sempre cercato di valorizzare il talento dei giovani. Ho svezzato Ferruccio De Bortoli, Massimo Donelli, Gian Antonio Stella, Gigi Moncalvo, Francesco Cevasco, ho inventato Edoardo Raspelli – che era un cronista di bianca e di nera – come un critico gastronomico di eccezionale qualità e onestà.
Cambiamento nel settore dei media e precisamente nel tipo di comunicazione. Nonostante vieni dal mondo della carta stampata hai intercettato con buon anticipo questo cambiamento e proposto le tue testate. Cosa ti ha convinto al “salto” ? E cosa credi debba fare ancora l’informazione on-line per sostentarsi ed essere considerata alla stregua di quella cartacea nel nostro Paese?
Non ho mai lasciato la carta stampata. Ho intuito, ma non ci voleva molto, le possibilità delle praterie del web… ho fondato il sito “la mescolanza” e via via tanti altri, ma non ho avuto i mezzi economici per imporli ai vertici delle classifiche. Quindi, li curiamo e li manteniamo come siti di nicchia, personalizzati sul mio ruolo e le mie residue capacità, che può interessare ai navigatori che non si dedichino esclusivamente alla devota lettura dei grandi social e dei siti dei grandi quotidiani. Offriamo una certa diversità. Mi chiedete cosa si debba fare? Non ho la presunzione dei molti geni, almeno una decina, che grazie ad internet hanno trovato fama e ricchezze. Mi limito a riflessioni elementari. Bisogna conquistare contributi pubblicitari di primissimo livello e bisogna stabilire regole, che assicurino un rapporto di affidabilità e di credibilità verso chi naviga. È probabile che i siti di nicchia, come il mio, e quelli specializzati su argomenti definiti possano – in tutta modestia – sopravvivere. Mentre i grandi portali, che hanno fatto investimenti importanti incontreranno maggiori difficoltà: vincerà chi avrà metodo, continuità e – vedrete – genialità. Perderanno o falliranno quelli che non riusciranno ad evitare sciatterie, prevedibilità, mancanza di idee e di estro.
Perchè la Mescolanza? Ha un significato intrinseco?
Il significato di partenza, quello all’origine della mia decisione, era duplice: da una parte una testata che giocasse sul mio cognome; dall’altra la voglia di mescolare gli argomenti più diversi, ma trattati (l’operazione non è riuscita come desideravo) con un approccio, uno stile – il mio – riconoscibile.
Hai lavorato con, importanti format anche in televisione, in cosa ti ha arricchito l’esperienza del piccolo schermo?
In televisione mi sono comportato secondo la vocazione. Giornalismo puro, nudo e crudo. Potrei fare decine di esempi, ma non mi piace vantarmi: chi si loda si imbroda. Qualche esempio, solo per spiegarvi. Al Festival di Sanremo ho portato Mike Tyson, Rania di Giordania e altri protagonisti dell’attualità, che nulla avevano a che fare con le canzonette, ma mi assicuravano grandi ascolti. A Domenica In ho portato il serial killer Donato Bilancia, suscitando un pandemonio – comprensibile – di critiche. E una volta, sono ancora incazzato, mi è stata inflitta una censura ingiustificabile, per di più comunicatami all’ultimo momento dai soloni della Rai. A Domenica In dopo anni di insistenza ero riuscito a portare Monica Lewinsky. Un personaggio entrato nella storia in conseguenza alla sua love story con il Presidente Bill Clinton che solo per un soffio riuscì a non dimettersi.
Sei nato a Cosenza, ma ti sei trasferito molto giovane in Liguria, oggi vivi a Roma. Con che occhi guardi “guardi” la tua terra natia? Cosa ne pensi della Calabria di oggi?
Cosenza è mia madre, Genova è un’altra madre, adottiva, Milano è stata e forse sarà ancora una compagna di lavoro, Roma è la mia amante. Vogliamo aggiungere Torino, per due volte una piccola trasgressione? Sono le mie cinque città, la mia vita. La Calabria di oggi? Da tre anni in poi avevo vissuto al Nord, soprattutto a Genova, da 17 a 22, in conseguenza di incomprensioni con mio padre, ho vissuto con zii e cugini di Cosenza. Poi era l’inizio degli anni ’60, come decine di migliaia di altri giovani, fiduciosi migranti, con la mia modesta valigetta, non era di cartone sono tornato al Nord in cerca di fortuna. Amo la Calabria come si ama la madre. Penso però, nonostante i cambiamenti voluti in primo luogo dal mio vecchio amico Giacomo Mancini (autostrada, università), che i giovani di talento, i calabresi di oggi, debbano partire dalla nostra regione per andare a cercare fortuna, ancora al Nord, oppure, considerando la decadenza italiana, in accoglienti nazioni straniere.
Grazie mille! e a presto
Grazie a voi..
Fabrizio Pace