Lo stabilisce l’ordinanza pubblicata dalla prima sezione civile del tribunale di Milano: “il divieto non è razzista ma tutela la sicurezza pubblica”
Nessuna volontà discriminatoria ma solo esigenze di tutela della pubblica sicurezza. È escluso che sia venato di razzismo il provvedimento adottato dalla Regione Lombardia dopo la strage del Bataclan a Parigi che vieta l’ingresso con i veli islamici tipo burqa e niqab in Asl e ospedali: lo stabilisce l’ordinanza pubblicata dalla prima sezione civile del tribunale di Milano (giudice Martina Flamini). Il sacrificio imposto alle donne di religione islamica, che devono rinunciare al copricapo che lascia scoperti solo gli occhi, è giustificato dall’esigenza di poter riconoscere i numerosi utenti che affollano le sedi di determinate aziende e agenzie regionali per l’erogazione dei relativi servizi. Pertanto esclusa la natura discriminatoria della delibera adottata in Lombardia dopo la strage di Parigi: legittimo imporre il riconoscimento del volto dell’utente nelle sedi regionali più frequentate. Bocciato il ricorso delle associazioni, evidenzia Giovanni D’Agata presidente dello “Sportello dei Diritti”, che tutelano i diritti degli stranieri contro il provvedimento approvato dal Pirellone dopo gli attentati del 13 novembre 2015 che hanno mietuto quasi cento vittime nella capitale francese. La delibera vieta di entrare in alcune sedi istituzionali con il casco, il passamontagna e tutti gli altri copricapi che non consentono di riconoscere in viso l’utente del servizio. E nel divieto finiscono anche il burqa e il niqab. È vero: la scelta di indossare il velo islamico rientra nella vita privata delle donne musulmane e in quanto tale merita tutela in base all’articolo 8 della convenzione europea dei diritti dell’uomo. E non c’è dubbio che lo stop imposto dalla Regione penalizzi le signore di religione islamica: si tratta tuttavia di uno svantaggio giustificato dall’esigenza dei controlli ai fini della pubblica sicurezza. È la giurisprudenza della Corte di Strasburgo a bocciare in quanto sproporzionato il divieto di burqa in tutti gli spazi pubblici. Ma la giunta lombarda vieta l’ingresso soltanto nei luoghi più frequentati di sua pertinenza, come l’agenzia per le case popolari, l’agenzia di protezione ambientale e le aziende sociosanitarie territoriali, dove accedono ogni giorno migliaia di utenti. Il tutto mentre la stessa Cedu specifica che la protezione dell’ordine pubblico è uno dei poche necessità che può imporre restrizioni alle libertà personali, compresa quella di manifestare il proprio credo religioso.
c.s. – Giovanni D’Agata