Il cambiamento come scelta consapevole

Circa dieci anni fa, uscì un libro dal titolo”L’eleganza del riccio”. Diventato un best seller in Francia, il romanzo è presto entrato nelle classifiche internazionali. Chi si accosta alla lettura di questo testo incontra una serie di personaggi, attraverso i quali è possibile risvegliare sopiti aspetti di sè. Forti emozioni e grandi conflitti durante questo viaggio tra le righe. Il contesto socio-culturale in cui la storia si snoda, sembra liberamente ispirato alle parole della Alice di Carroll, quando parlava di un posto “dove ciò che è, non sarebbe, e ciò che non è, sarebbe”. Tutto si svolge in un palazzotto elegante, nei suoi cinque piani: tra su e giù. Nel libro, ambientato in una Parigi contemporanea, la borghesia è instupidita.

Manifestazione del vuoto di chi non si pone domande pur essendo ai “piani alti”. Sono personaggi questi, accuratamente descritti come automi in una società al contempo incurante delle loro individualità, dei loro desideri, dei loro limiti. In uno stato di reciproca indifferenza, dunque. Al piano terra del prestigioso palazzo, vive una portinaia tutto fare. Lei che, in un aspetto sciatto e scontroso, ha trovato rifugio dal mondo, può invece essere, nel suo privato, quella che realmente è: cultura e sensibilità. Fin qui il ruolo sociale ha la meglio. Lo svelamento fa paura.

La maschera protegge. Nel racconto il personaggio ribelle spetta invece ad una ragazzina. Figlia biologica dell’insulsa società, Paloma, vuole andar via da questo Mondo, perché non si riconosce in esso. Durante tutto il racconto ci spiega, infatti, le sue intenzioni di porre fine alla propria vita. La disillusione, dunque, combattuta con l’appellarsi ad un gesto estremo. Quando ecco arrivare il personaggio capace di mettere in luce l’autenticità delle cose. È infatti, grazie a questi, che avviene il miracolo: l’aumento del livello di consapevolezza dell’unicità della vita e della propria identità. Venuto dall’Oriente, con la serenità dello spirito saggio, dispiegherà lo svelamento: della portinaia che legge Tolstoj, della superficialità propria degli inquilini del suo palazzo (in questo caso non si può far altro che accettare la loro condizione di parvenu) e della speranza insita in ogni uomo (la ragazzina alla fine non si toglierà la vita). È, insomma, un romanzo dei nostri giorni. Perché leggerlo? Perché potremmo, appunto, rispecchiarci in uno dei personaggi. Perché potremmo riconoscerci nel disagio, nel dolore, nelle ingiustizie descritte. Ma anche perché potremmo capire che è possibile lo svelarsi a noi stessi, senza vittimismo, con sincerità. Arrivare, così, ad essere consapevoli che qualunque cambiamento avviene prima nella coscienza personale e poi in quella sociale. Olga Iiriti, psicologa-psicoterapeuta.

Olga Iiriti

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