Roma 12:50 – Come si suoleva dire con un detto popolare, cambiato il fuochista il treno non cambia direzione. Cosa si vuole intendere? Ormai dalla “caduta” di Renzi sono passati alcuni mesi, e come ci è stato ripetuto e ribadito più volte il Governo succedutogli, “diretto” da Gentiloni ha sempre affermato di esserne la continuazione. Orbene, come è d’uso nei governi dal 2011, dal dopo Berlusconi per intenderci, prima di dare una delle ormai solite notizie di “stangate lacrime e sangue” se ne comincia a parlare qualche mese prima. Ora è qualche settimana che una voce ha ricominciato a girare sempre più forte e da varie parti si comincia ad non tanto ipotizzare ma concretizzare, la possibilità di aumentare tutte le aliquote IVA. Ebbene sì la famosa clausola che dal governo Monti in poi ha riempito di incubi sia consumatori che consumatori.
Clausola che ogni anno tutti i governi assicurano di aver “sterilizzato” ma non eliminato. Ora rieccola, e come diceva il grande Principe De Curtis e “riciccia fuori”. Oggi, come ha rilanciato TgCom24, la Confesercenti ha reso noto un suo studio sugli effetti di un’va che dal 22% passa al 24% dal 10% al 13% ed infine dal 4 passa al 5%. Come ogni padre di famiglia si immaginerebbe il risultato dell’ipotesi di innalzamento porterebbe al “collasso” dei consumi. Gli effetti sulla crescita della nostra economia sarebbero significativi. In particolare, sulla base delle relazioni storiche si stima un effetto negativo in termini di Pil del -0,3% a regime. L’effetto atteso sui prezzi, infatti, è di un aumento dello 0,7%. Una ‘stangata’ che secondo la ricerca Ref-Confesercenti, “si trasformerebbe quasi completamente in contrazione di spesa, anche considerando che le due aliquote interessano molti servizi e generi di largo consumo, colpendo anche le fasce più deboli della popolazione”.
Tra i prodotti interessati dall’incremento di imposizione fiscale ci sarebbero, infatti, beni alimentari di prima necessità (carne, pesce uova e latte) ma anche servizi di ristorazione e turistici e medicinali per uso umano e veterinario. Da far notare che quanto livello di imposizione Iva il nostro paese si trova al secondo posto dietro alla Svezia, paese noto per l’elevata pressione fiscale, ma con un welfare ed un ritorno di servizi decisamente superiore al nostro Paese.
Il problema, che sembrerebbe saltare fuori, o meglio lo “slogan” che si ricerca di utilizzare per l’ennesima volta è “ce lo chiede l’Europa”, quella frase che da Monti a Letta passando per Renzi e giungendo fino a Gentiloni, si continua ad usare come “scusante” o come “scaricabarile” per non far cadere sul governo le colpe di una “salassata” che di certo ora servirebbe a ben poco. Da ultimo, cosa da non scordare, risulta che la tassazione dei consumi nelle forme vigenti oggi, si ottiene per l’Italia un valore dell’11,7% del PIL, in salita dal 10,3 registrato nel 2008. Che si confronta con l’11% della Francia, fino al ben più modesto 9,5% osservato in Spagna.