A Proposito degli scavi di Piazza Garibaldi

Gli scavi di Piazza Garibaldi che appena qualche mese fa avevano suscitato l’entusiasmo dei Reggini sono divenuti – è triste constatarlo – una sorta di discarica a cielo aperto nella quale fanno bella mostra di sé carte, cartacce, buste di plastica, lattine, bottiglie e persino il manico di una scopa. Non ci si stancherà mai – scrive Stefano Iorfida, Presidente dell’Associazione Culturale Anassilaos – di deprecare il comportamento dei soliti, per fortuna pochi, incivili, per i quali non esistono né scusanti né giustificazioni anche se, occorre pur dirlo, su quegli scavi è calato da mesi un silenzio incomprensibile che, se non giustifica i vandalismi, alimenta quell’indifferenza nella quale si annidano gesti piccoli e grandi di comune pubblica barbarie. Sono passati pochi mesi – rileva Iorfida – da quando i Reggini, improvvisati archeologi e storici, discutevano della scoperta, avanzavano ipotesi – talune del tutto bizzarre e fantasiose-, compulsavano i testi degli storici antichi e quelli degli studiosi locali alla ricerca di una testimonianza o di una traccia capace di suffragare questa o quell’altra ipotesi. Anche noi, come associazione, abbiamo partecipato di quella esaltazione collettiva e di quell’interesse che ci sembrava stupefacente. Per la prima volta – ci dicevamo – Reggio Calabria, una città spesso abulica e indifferente alla propria storia, discute, si anima, si accapiglia per un ritrovamento archeologico che si presentava e veniva presentato, anche dai mass media, come “eccezionale”. Sapevamo che era, allo stato dei fatti, difficile dare risposte certe ma ritenevamo che, alla luce dei pochi o molti (non lo sappiamo ancora) reperti ritrovati durante gli scavi fosse possibile formulare da parte della Soprintendenza ai Beni Archeologici ipotesi scientificamente più valide e invece gli scavi di Piazza Garibaldi costituiscono, occorre dirlo, una sorta di segreto, forse meglio custodito della costruzione, a suo tempo, della bomba atomica, che alimenta, come ogni segreto, i “si dice” e i “retroscena” . La Soprintendenza – seguendo una abitudine ahimè inveterata – tace, indifferente a quella pubblica opinione che pure le è necessaria, dato che sono i cittadini a finanziare con i propri denari ogni scavo archeologico e ogni attività di ricerca. Il mondo della ricerca archeologica e delle antichità, quello che occupa le Facoltà umanistiche delle nostre università e le diverse Soprintendenze, sparse un po’ ovunque nel nostro Paese, è un mondo molto spesso autoreferenziale, chiuso in se stesso, incapace di dialogare con i cittadini, il cui distacco poi peraltro critica. Noi non pretendiamo che la Soprintendenza, che ha curato fin qui gli scavi, dia ai Reggini informazioni definitive e certe su quello che è o potrebbe essere il manufatto ritrovato a Piazza Garibaldi né comunicazioni “farlocche” e/o scientificamente infondate al solo scopo di mantenere desta l’attenzione dell’opinione pubblica, ma abbiamo il diritto di conoscere lo stato della ricerca, allo scopo di sostenere quella stessa ricerca e alimentare ancora nei Reggini quell’amore per la storia della propria città. Tale “silenzio assordante”– e ci si scusi l’ossimoro – dopo tanto entusiasmo, può portare soltanto ad una terribile delusione capace di far crescere ed alimentare il vandalismo più becero. Non vorremmo poi dovere dare ragione a quei reggini, pochi per fortuna, che sbirciando questa estate dalla grande rete quei ruderi, dicevano a se stessi “pi’ quattro petri bloccaru nu parcheggiu”.

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