Italia 05/01/2017 09:40 – L’ultimo “regalo” regalato dal 2016 lo stiamo scoprendo in questi giorni. L’italia ha chioso il 2016 entrando in deflazione. Era dal lontano 1959 che non accadeva una situazione del genere, i dati non sono “campati per aria” ma bensì redatti dall’Istat e rilanciati da una velina di RaiNews. I prezzi al consumo in media d’anno – riferisce l’Istat – sono scesi dello 0,1%. L’inflazione di fondo, calcolata al netto degli alimentari freschi e dei prodotti energetici, è rimasta invece positiva (+0,5%), pur rallentando la crescita dal +0,7% del 2015. A dicembre, invece, i prezzi al consumo (al lordo dei tabacchi) sono aumentati dello 0,4% rispetto al mese precedente e dello 0,5% nei confronti di dicembre 2015. Secondo l’Istat, la ripresa dell’inflazione è legata alla crescita dei prezzi dei servizi relativi ai trasporti (+2,6%), degli energetici non regolamentati (+2,4%) e degli alimentari non lavorati (+1,8%).Cosa significno questi dati, che l’apparente aumento percentuale è di fatto dovuto la classico aumento dei carburanti ed energetici, che ricadendo a cascata su tutto l’arco produttivo, ha fatto crescere di un minimo il costo delle produzioni, ma la realtà è ben diversa. Carlo Rienzi, presidente Codacons, spiega che la renata dei prezzi al dettaglio nel 2016 è il frutto del crollo record dei consumi registrato in Italia negli ultimi anni. L’attesa ripartenza della spesa da parte delle famiglie non si è verificata, e complessivamente negli ultimi 8 anni i consumi degli italiani sono calati di ben 80 miliardi di euro. Numeri che hanno avuto effetti diretti su prezzi e listini, con una variazione negativa dello 0,1% su base annua. “Urla” di allarme arrivano dalla Coldiretti, la quale sottolinea come la deflazione ha effetti devastanti nelle campagne dove i prezzi riconosciuti agli agricoltori crollano mediamente di circa il 6% nel 2016 ed in alcuni casi come per il grano non coprono neanche i costi di produzione. Gli agricoltori nel 2016 hanno dovuto vendere più di tre litri di latte per bersi un caffè o quindici chili di grano per comprarsene uno di pane ma la situazione non è migliore per le uova, la carne o per alcuni prodotti orticoli. La prospettiva di certo non è per nulla rosea e rassicurante.