Cicciù (Csi): «Quale investimento culturale stanno facendo i dirigenti sportivi?»
21\11\2016 – «Abbiamo atteso una settimana dalla pubblicazione dei dati dell’Atlante di Save the children prima di commentare i dati inquietanti emersi dal report: il 20% dei bimbi calabresi non può permettersi di praticare sport, a cui aggiungere un altro 10% che vede negato il proprio diritto al gioco, per indigenza, pure tra le mura domestiche oppure – addirittura – in quegli ambienti comuni, come i cortili ormai off-limits per l’attività ludica. Abbiamo atteso, soprattutto, un intervento deciso del Coni: ci attendevamo una presa di posizione netta, robusta, corale. Magari condivisa con tutti gli enti di promozione sportiva che avrebbero (il condizionale è d’obbligo in questo caso) l’obiettivo di incentivare lo sport di base. Nel silenzio generale aumentano invece i casi di bimbi malnutriti, con 1 bimbo su 6 (da 1 a 15 anni) che non ha il “budget” per un piatto proteico al giorno. Così le malattie cardiovascolari, che l’Oms reputa «patologie della povertà» raggiungono numeri paurosi per un sistema Sanità che dimentica i più piccoli. Abbiamo atteso, per comprendere bene quale dovesse essere la nostra, del Csi, posizione in merito a questo allarme. Potevamo provare a fare uno sterile elenco di quanto – senza un euro pubblico – già facciamo. Ma ci siamo sentiti troppo umiliati da quei numeri per non sentirci parte in causa. Non possono esistere né vincitori, né vinti in una battaglia di civiltà che sta presentando il conto di uno sport che ha badato alle pallettes, piuttosto che ai campi impolverati «da oratorio». Ci siamo impoveriti tutti, probabilmente (chi più, chi meno) inseguendo la logica dei numeri. Va fatta in tal senso una riflessione ad alta voce su quale investimento culturale deve fare la classe dirigente sportiva alle prese con la carenza di risorse e strutture. Forse dimentichiamo come solo investendo nel futuro dei nostri atleti, domani avremo degli uomini e delle donne più sane, i cui valori, clinici ed etici, sicuramente non saranno un fattore di rischio. Questo non avviene e si prosegue con eventi di distrazione di massa in cui i ragazzi sono i finti protagonisti. Non vogliamo assolutamente ergerci a moralizzatori, bensì siamo i primi a riconoscere i nostri limiti e i nostri errori. Auspichiamo, però, che quei numeri interroghino ciascuno ed ognuno di noi. Come Csi, in questa settimana di attesa di un segnale che non è arrivato, abbiamo provato a capire come – praticamente – provare ad incidere, nel nostro piccolo, con un piccolo cambiamento. Nasce da questo l’idea di lanciare un nuovo metodo, quello del toddler sense, rivolto proprio a quella fascia d’età dimenticata, dai zero ai cinque anni. Un percorso che completa il progetto del Csi reggino, il baby sensory, che offre la possibilità ai genitori e ai bambini di incontrarsi settimanalmente per attività finalizzate allo sviluppo sensomotorio dei bambini da 0 a 18 mesi; un’attività innovativa e strategica per promuovere il benessere del bambino e le future competenze sociali e relazionali. Come ci spiegano le nostre pedagogiste, il toddler sense è la naturale prosecuzione di questo percorso: il bambino impara sperimentando il movimento e facendo sport, come strumenti fondamentali per una crescita armonica ed equilibrata. Il metodo pertanto abbina percorsi di psicomotricità finalizzati alla maturazione dell’equilibrio, della coordinazione, della lateralizzazione e delle altre abilità psicomotorie, alle esperienze in gruppo, attraverso l’uso della musica, dei libri, delle marionette che coinvolgono bimbi e genitori in un clima di apprendimento ludico e significativo.Crediamo che quei numeri inquietanti, quel 20% di bambini che non possono avere il “lusso” di giocare, si sconfigge investendo in nuove tecniche che non solo agevolano una crescita psicofisica, ma che incentivano una reale inclusione sociale».