14\11\2013 – Denota una inciviltà davvero arcaica mettere in discussione la bontà del voto elettorale in base al risultato che ne scaturisce. Una forma di barbarie tale da farci tornare all’età del feudalesimo. Ormai ci siamo assuefatti ai paradossi logici che questi sinistri signorotti del pensiero imposto, ci propinano, ma se riflettete è la negazione stessa della democrazia. Ne deriva che, dopo avere imparato a scuola concetti basilari per la convivenza civile, siamo costretti a subire i pistolotti sdegnati di questi sedicenti intellettuali, pronti a sparare veleno su chi non aggrada loro ed a fomentare gli animi già esagitati dei loro più scalmanati seguaci. Forse è vero che la democrazia ha le sue piaghe infette, le sue deformazioni aberranti e tra queste certamente ci sono i nuovi intolleranti ideologici, coloro che fustigano le idee non allineate, i persecutori dell’opinione discorde. Badate, questi soggetti pensano che in ottica delle loro deviate interpretazioni a potere essere sacrificate e compresse siano proprio le libertà individuali, quelle di espressione del pensiero, le più basilari, insomma. Quelle elementari prerogative che per prime sono state conquistate dalle civiltà occidentali dopo lotte secolari condotte dall’umanità contro la repressione della libertà di espressione. Ebbene, queste libertà per i soloni del “logos prescritto” esistono e vanno garantite entro un certo limite, dettato da questa barbarica, inconcepibile visione della democrazia, la quale, senza fronzoli di ipocrisia, altro non è che opportunismo dialettico, convenienza concettuale e persuasiva. La sorprendente elezione di Donald Trump a Presidente degli Stati Unti d’America è stato l’ultimo, più evidente e condiviso esempio di questa “simpatica” prassi. Si pensi agli allarmismi manifestati per il presunto stato di pericolo per la democrazia espressi a gran voce da chi il concetto di democrazia non riesce proprio ad introiettarlo nella propria concezione dei sistemi sociali e politici, non riuscendo a scrollarsi di dosso quell’ereditario alone di autoritarismo che emerge ogniqualvolta vengono sovvertiti i pronostici auspicati. Insomma, il popolo è sovrano se vota uniformato alle loro posizioni, altrimenti è una massa incontrollata di gentaglia pericolosa. Ora, nessuno nega che nella storia i popoli abbiano sostenuto ed avallato regimi e tirannie varie, ma un conto è giudicare le azioni compiute, altro è indignarsi e manifestare preoccupazione per una elezione intervenuta in un Paese libero come pochi al mondo. Il livore di questi soloni, addormentati sul cuscino delle loro “politiche corrette” e improvvisamente svegliati dalla voce del popolo, emerge incontrollato dalla ragione che pretendono sempre di avere, dalla arroganza di credere che la storia stia sempre dalla loro parte, salvo poi a rinnegarla quando la storia li smentisce clamorosamente. Loro “ragionano” così, da “elitari falso liberal”, da ipocriti della sapienza conveniente e della istruzione orientata, per volere della quale il poco istruito altro non è che un ribelle sfruttato se vota a sinistra, mentre diventa “ignorante e cafone” se dopo cinque anni cambia idea e vota a destra. Ciò che davvero deve fare preoccupare per le sorti delle nostre democrazie è la perdita stessa del concetto di democrazia, quella rabbia che trasuda nelle gesta di questi propugnatori della cultura controllata, dell’intellighenzia impegnata in questo moderno e perverso neorealismo della coscienza. Sia chiaro che chi scrive non ha grandi contatti ideali con il miliardario Trump, né condivisione assoluta di prospettiva politica e programmatica. Troppo spesso vengono fatte comunanze ideologiche tra i due estremi di un mondo che va da quella Destra sociale e interventista alle correnti di pensiero sommamente Liberali, che nemmeno i Repubblicani americani riescono a contenere in un solo partito politico. Ma il tema di questo intervento, elude i temi ed i programmi di un leader che finora è stato solo eletto, per stigmatizzare quelle condotte di intolleranza verbale cui siamo costretti ad assistere ogni qualvolta questi feudatari dell’intelletto, con il cuore a sinistra, ma il portafogli a destra, vengono disarcionati dalla sella della loro convinzione di superiorità, per finire nel fango di quel vulgus che tanto amano e tanto disprezzano all’occorrenza, ma che, fuori da questo neologico, degenere “tornacontismo”, rimane sempre quel che è: “We, the People”.
Ernesto Siclari – Azione Nazionale