di Fabrizio Pace – Per capire bene cosa sta succedendo in Turchia, uno dei paesi, ad oggi, strategici per la stabilità internazionale principalmente per Vecchio Continente, abbiamo deciso di intervistare, (non per la prima volta), la dottoressa Valeria Giannotta, docente di Relazioni Internazionali Università di Ankara.
All’indomani del tentativo di Golpe o presunto tale come si presenta la situazioni in Turchia?
La Turchia è tornata in uno stato di calma e stabilità. La vita quotidiana procede regolarmente, lo stato d’emergenza non si avverte: è sostanzialmente una questione procedurale interna per agevolare le investigazione e l’applicazione delle norme. Negli uffici pubblici sono state avviate epurazioni di massa, istituti privati ispirati da Gülen sono stati chiusi e migliaia di persone sono sotto inchieste per le loro affiliazioni. I settori militari sono sicuramente i più colpiti. La direzione di tali manovre e’ chiara: estirpare la componente gülenista, considerata come una sorta di P2 italiana, e la sua rete di solidarietà dalla macchina burocratica.
I lavoratori stranieri hanno subito direttamente o indirettamente il clima di sospetto che si vive nel Paese?
Direi di no. Almeno per ciò che mi riguarda. In generale le misure restrittive, il richiamo e il temporaneo divieto di lasciare il Pase e’ stato rivolto agli impiegati pubblici e docenti di nazionalità turca. Nessuna misura re’ stata applicata agli stranieri. E’ appunto una questione interna che mira a individuare le infiltrazioni della gang gülenista negli apparati di Stato. Certo, come osservatore straniero residente in Turchia la situazione ci ha colpito da vicino, abbiamo vissuto il colpo di Stato e i suoi effetti, ma siamo soprattutto avviliti dalla percezione delle dinamiche che si ha all’estero e di come queste vengono riportate a partire da chi ha sostenuto la tesi del ‘golpe farlocco’. Posso assicurare che quanto successo la notte del 15 luglio e’ tutto vero, comprese le bombe sul Parlamento di Ankara. Oggi a due mesi dal fatto vi sono delle manovre in atto e siamo spettatori di ondate di licenziamenti e rimozioni che comunque hanno una direzione precisa.
Si è parlato molto della possibilità di reintrodurre la pena capitale per i reati più gravi in Turchia, una soluzione che allontanerebbe l’eventuale ingresso in Europa. La gente, o meglio ancora gli studenti , quindi i giovani, la futura classe produttiva del Paese, che ne pensa? Vuole che l’”Anatolia” entri in Europa?
La reintroduzione della pena di morte e’ stata una narrativa usata molto nei giorni post-golpe, direi una reazione a caldo per quanto successo. Era l’orgoglio nazionale a parlare. I turchi si sono sentiti traditi da una parte dei loro ‘fratelli’. Indipendentemente dal colore politico, in 15 anni di storia si e’ avuto un blocco sociale compatto a sostegno del governo legittimamente eletto. E’ non e’ un dato trascurabile. Tuttavia, mi sembra difficile che il reato capitale venga reintrodotto: e’ stato proprio il Governo dell’AKP nel suo primo mandato ad abolirla e una reintroduzione significherebbe un salto nel passato, non un avanzamento in chiave democratica.L’Europa rimane una priorità nell’agenda politica di Ankara. Negli ultimi anni si e’ registrata una mancanza di fiducia verso Bruxelles, ma senza dubbio la membership europea, nonostante le difficoltà e i veti posti su molti capitoli negoziali, e’ una strada perseguibile e da percorrere. E di questo e’ opportuno che se ne rendano conto anche alcune cancellerie a Bruxelles, da sempre ostili all’ingresso turco.
La Turchia stava dando una grossa mano a contenere gli ingressi illegali nel Vecchio Continente di provenienza asiatica ed araba. Lei crede che il governo Erdogan cambierà il suo modo di operare e l’intensità dello stesso in relazione al problema dei migranti?
La Turchia sta operando quasi in completa autonomia dal 2011. Più di 3000000 sono i siriani ospitati in Turchia. L’accordo firmato con Bruxelles ha innescato un ulteriore meccanismo di contenimento e controllo dei transiti. C’e’ da dire pero’ che i 3 miliardi di euro previsti dal trattato non sono ancora stati stanziati e questo in un certo senso e’ stato reso discrezionale all’accordo sulla liberalizzazione dei visti a sua volta dipendente dalla revisione della legge sul terrorismo. A mio avviso un double standard le cui conseguenze ricadono principalmente su Ankara. Ed e’ questo che spiega l’aspra retorica del Presidente che ha minacciato di interrompere il trattato. Bruxelles ha delle serie responsabilità nei confronti di Ankara che sembra non voler ottemperare.