“L’uscita della Gran Bretagna dalla UE non può essere né sottovalutata, né interpretata come il risultato di storiche e ricorrenti tendenze isolazionistiche degli inglesi”. Queste le parole del presidente della Commissione giustizia del Senato, Nico D’Ascola. “Al di là del sicuro concorso di più fattori nel determinismo dell’ esito referendario e quindi della impossibilità di individuare un’unica causa alla quale ascrivere la decisione maggioritaria del popolo inglese, non vi è dubbio che ogni seria analisi sul punto debba porre al centro di ogni valutazione l’enorme delusione suscitata dalle politiche europee. Qui il catalogo è davvero quantitativamente smisurato e qualitativamente impressionante. Per citare solo alcuni aspetti della imbarazzante lista di errori e di vizi genetici basterà citare il noto deficit di democrazia e quindi la mancanza di una effettiva rappresentanza politica. La questione – evidenzia il presidente – non è soltanto formale, ossia attinente alla struttura e agli organi politici della UE, dal momento che ha permesso a gruppi privi di ogni legittimazione politica di esercitare posizioni di comando a vantaggio di pochi paesi, se non addirittura di uno soltanto (la Germania), ponendo al margine tutti gli altri. La burocratizzazione poi di un sistema politico verticistico e autolegittimatosi ha fatto purtroppo, ma prevedibilmente il resto. A tale riguardo è del tutto esemplificativa la linea seguita in materia di politica economica. L’ottusità implicita in un’austerità che non è soltanto rigore contabile (esigenza, questa, certamente condivisibile), ma vocazione alla disinflazione ad esclusiva tutela dell’ unico partner europeo che non ha problemi di crescita economica e di disoccupazione, è ormai a tutti evidente. A dir la verità è stata tale agli occhi dei pochi veri economisti mondiali che sin da subito hanno stigmatizzato molto negativamente politiche economiche siffatte. Il rifiuto degli Eurobond, – prosegue D’Ascola – gli intralci e le critiche espresse a un grande italiano come Mario Draghi al quale si devono, nella sua posizione di presidente della BCE, le uniche iniziative funzionali a determinare la ripresa di consumi e investimenti, chiudono il cerchio quanto alla dimostrazione di un quadro complessivamente sconfortante e manifestamente di parte. Tutto ciò conferma, tornando al punto dal quale si era partiti, la incapacità di questa classe, non politica, ma burocratica, di percepire gli effettivi interessi dei popoli e quanto meno di autolegittimarsi in senso democratico. Ne può pensarsi che un certo estremismo laicista ed un eccesso di empirismo privo di valori siano estranei a quello che si è verificato. In conclusione, bisognerebbe interrogarsi sulle responsabilità attribuibili ai vertici europei prima ancora di analizzare gli errori degli inglesi al riguardo. Ciò senza nemmeno aver analizzato la possibile emersione in simili contesti di fantasmi legati al riemergere dei drammatici eventi bellici del novecento e quindi al riaffiorare di inevitabili rivalità e paure del ritorno di situazioni dominanti (che una maggiore intelligenza dei fatti avrebbe dovuto prevenire) per una conduzione politica dell’Europa esclusivamente affidata alla Germania. Accantonare – conclude il presidente – anche questa volta, di fronte ad evidenze cosi indiscutibili, le chiare responsabilità di una politica europea che non piace a nessuno, non significa altro che precostituire le ragioni del futuro dissolvimento di una Unione Europea che ha non ha nulla a che vedere con lo spirito e i principi che ne hanno determinato la nascita”.
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