Dalla registrazione della prima scossa da parte dell’osservatorio sismico centrale di Monte Porzio Catone, a sud-est di Roma, alle comunicazioni tramite telescrivente a istituzioni e media, fino all’intervento sul posto con sismografi portatili. A 40 anni dal sisma che sconvolse il Friuli, il prossimo venerdì 6 maggio alle 11.30 l’INGV ricorderà quei giorni dell’emergenza attraverso alcuni dei protagonisti della sismologia dell’epoca. L’evento vedrà la presenza del neo Presidente Carlo Doglioni
04\05\2016 – Venerdì 6 maggio dalle 11.30 alle 13.00 porte aperte all’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV), in via di Vigna Murata 605 a Roma, per ricordare il quarantesimo anniversario del catastrofico terremoto del Friuli, con immagini e testimonianze dei sismologi che allora gestivano la sorveglianza sismica. La mattinata si apre con i saluti del neo Presidente Carlo Doglioni e l’introduzione del direttore della Struttura Terremoti, Claudio Chiarabba, per poi continuare con un faccia a faccia dal titolo Come abbiamo registrato il terremoto del 6 maggio 1976, tra Rodolfo Console e Calvino Gasparini, ai tempi del terremoto giovani sismologi dell’ING (Istituto Nazionale di Geofisica, ora INGV). Chiudono la giornata: Alberto Michelini, direttore del Centro Nazionale Terremoti (CNT-INGV) con un intervento su l’evoluzione delle Reti Sismiche dal 1976 aoggi; Gianluca Valensise, dirigente di ricerca dell’INGV, che spiegherà quale sia oggi il livello di pericolosità sismica del Friuli; e, infine, Angelo De Santis, dirigente di ricerca dell’INGV, che tratterà aspetti meno conosciuti di quel terremoto. Nella serata del 6 maggio 1976 inizia in Friuli una delle sequenze sismiche più energetiche e devastanti della seconda metà del Novecento in Italia. La scossa principale avviene alle 21.00 ore locali. La sua magnitudo (Mw) 6.5, ne fa uno tra i terremoti più violenti mai accaduti nell’Italia settentrionale, mentre l’intensità epicentrale è pari al IX-X grado della scala macrosismica Mercalli-Cancani-Sieberg (MCS). La scossa colpisce circa 120 comuni delle province di Udine e di Pordenone, interessando una popolazione complessiva di circa 500.000 persone. Gli effetti più distruttivi si riscontrano a nord di Udine lungo la media valle del Tagliamento, dove interi paesi e cittadine subiscono estese distruzioni, fra questi: Gemona del Friuli, Forgaria nel Friuli, Osoppo, Venzone, Trasaghis, Artegna, Buia, Magnano in Riviera, Majano, Moggio Udinese, per citare solo quelli più colpiti. Ma gravi danni e crolli si rilevano anche in tutta l’area carnica, mentre le città di Udine e di Pordenone fortunatamente soffrono solo danni diffusi, di moderata entità. Danni più leggeri si registrano fino a Gorizia e a Trieste, verso sud-est, e in molte località del Veneto e del Trentino-Alto Adige verso ovest e sud-ovest, da Verona a Venezia, da Bolzano a Treviso, da Belluno a Padova, da Trento a Vicenza. Danni lievi si lamentano anche in Austria meridionale e in buona parte della Slovenia. La scossa viene avvertita in un’area vastissima che si estende fino a Roma e a Torino, all’Austria, alla Svizzera, alla Repubblica Ceca e alla Slovacchia e a gran parte della Germania, Croazia, Francia, Polonia e Ungheria. Circa 5.000 kmq l’estensione dell’area colpita: 17.000 le case distrutte, 965 le vittime ed oltre 3.000 i feriti. Un quadro a cui vanno aggiunti quasi 200.000 senzatetto. Moltissime le repliche. Le più forti colpiscono a oltre quattro mesi dall’inizio della sequenza, l’11 e il 15 settembre 1976, con intensità analoghe a quella della scossa del 6 maggio, determinando ulteriori crolli, distruzioni e vittime. Un’altra forte scossa si registra un anno più tardi, il 16 settembre 1977. Le scosse dell’intera sequenza sismica vengono localizzate con i dati degli osservatori sismologici allora esistenti italiani ed esteri (es., Trieste, Bologna, Pavia, Lubiana, Zagabria, Garmisch, … ). Importante era la stazione di Trieste che faceva parte delle stazioni della Worldwide Seismographic Stations Network (WWSSN), la più vicina all’epicentro, gestita dall’Osservatorio Geofisico Sperimentale (oggi Istituto Nazionale di Oceanografia e Geofisica Sperimentale). Il Monte San Simeone, un rilievo isolato che sovrasta Venzone, viene indicato come epicentro e diviene per tutti i friulani il simbolo dell’Orcolat, l’orco tradizionalmente considerato responsabile dei terremoti. L’ultimo terremoto di entità paragonabile a quella della scossa del 6 maggio 1976 era avvenuto quasi 500 anni prima, nel marzo 1511, e prima ancora nel 1348. Tuttavia in questo settore terremoti potenzialmente distruttivi, ovvero di magnitudo pari o superiore a 5.5, avvengono frequentemente: negli ultimi otto secoli nell’area del Friuli Venezia Giulia se ne è verificato in media uno ogni 80 anni, mentre terremoti che hanno causato effetti al di sopra della soglia del danno lieve sono documentati storicamente in media ogni 6 anni circa. Negli ultimi 30 anni si sono verificati tre terremoti di magnitudo superiore a 4.5 entro 100 km da Udine, ma grazie all’importante opera di ricostruzione e di adeguamento antisismico degli ultimi decenni questi eventi non hanno provocato danni (blog INGVterremoti: http://wp.me/pQl3O-1pM)