Nel suo recente tour nel Meridione per sottoscrivere “i Patti” con le Regione del Sud, il premier si è esibito con un altro copione. Evitando di ripercorrere la semplice strada delle promesse che sono passate alla ‘storia’ (si fa per dire) come ‘annuncite’, stavolta ha creduto più proficuo l’introduzione della sua ultima scoperta qual è la ‘nastrite’. Si tratta del semplice taglio di nastri di opere che non ha né finanziato né completato lui. A Reggio Calabria con l’inaugurazione del Museo Nazionale, che conserva i bronzi di Riace, la cui ristrutturazione è opera dalla Regione diretta del centrodestra, e in Sicilia con l’apertura di un viadotto, bloccato per eccesso di precauzione, risultato costruito a regola d’arte. Si è trattato, comunque, di un viadotto costruito quando Renzi era ancora sindaco di Firenze. Dato che senza investimenti nelle opere pubbliche sarebbe stato impossibile tagliare nastri, si son dovuti usare quelle realizzate da altri e spacciarle come proprie dopo averle tenute al calduccio fino a quando Renzi ha trovato il tempo per le sceneggiate elettorali. Dulcis in fundo ha promesso che ritornerà (sic) per inaugurare l’autostrada Salerno-Reggio spacciandola per finita ma che i calabresi sanno essere monca e senza possibilità che venga completata perché è stata, vergognosamente, depredata dei finanziamenti ricollocati in opere pubbliche al Nord del Paese. Strada facendo il piazzista fiorentino, rendendosi conto che non ‘stava vendendo nulla’, e che il suo fluente eloquio stava arrancando senza risultati, ha rilanciato il Ponte sullo Stretto specificando che deve essere ferroviario (dimostrando che sconosce colpevolmente il progetto che è nato ed è stato approvato come tale), ma rinviando la sua realizzazione a dopo aver inaugurato l’A3 ed aver completato la ‘strada della morte’ cioè la S.S. 106 che non ha date definite, non solo per la sua realizzazione ma neanche per il suo finanziamento, e tante altre belle cose. Ma perché questo rinvio da parte di chi è sempre a caccia di qualche zero virgola, nell’economia e nell’occupazione, per spararsi nelle TV il refrain che usa cantare, da due anni a questa parte, come “l’Italia c’è” o “l’Italia è ripartita” quando il Ponte gli darebbe numeri interi che gli permetterebbero di cantare una canzone per intero? Se veramente vuol legare il suo nome alla grande infrastruttura dello Stretto non perda altro tempo vuoi per bloccare le penali che incombono sul bilancio statale (ma che le Imprese estromesse si dichiarano pronte a rinunciare, se parte il Ponte), e vuoi perché col referendum costituzionale alle porte la sua vita politica può volgere al termine. Quell’opera è importante anche per lui. Se a ottobre il giovanotto aspirante dittatorello dovesse lasciare l’incarico, quell’opera farebbe dimenticare tutte le annuncite e le nastrite che ha accumulate nel tempo e il Renzino toscano verrebbe ricordato per l’unica grande opera che si concretizza con le sue decisioni (non ce ne sono altre), se invece supererà la prova del referendum e da premier si trasformerà in novello Ducetto avrà messo in piedi una infrastruttura che da sola (come afferma l’economista Francesco Forte) vale 2 punti pieni di PIL e permetterà allo Stato di sfruttare il trasporto merceologico da e per l’Estremo Oriente su container. Non ci crede? Delrio lo mette fuori strada? Dovrebbe domandarsi da solo perché l’Egitto ha raddoppiato il Canale di Suez; perché i cinesi (abbandonata l’inaffidabile Italia) si sono comprati il Porto del Pireo quale nuova porta della via della seta; perché Francia e Spagna lavorano sul FerrMed. E alla Marzullo si dia anche le risposte assieme al perché la Comunità Scientifica nazionale e internazionale ha difeso strenuamente il Ponte che sarebbe oltre ad un investimento economico che serve alla Nazione, di sicuro un’opera per farla finita con l’isolamento meridionale e, certamente, una EXPO perenne come la Torre Eiffel a Parigi.
Giovanni ALVARO