di Fabrizio Pace – Personalmente ho ben chiaro cosa voterò in occasione del referendum abrogativo del prossimo 17 Aprile. Dunque vorrei chiarire alcuni aspetti di cui non si riesce ad avere un’informazione adeguatamente approfondita. Occorre che gli italiani si mobilitino per sfruttare lo strumento del referendum abrogativo che è uno dei pochi mezzi tramite i quali si può rendere esecutiva direttamente la volontà dei cittadini. C’è molta confusione al riguardo, voluta (indotta), o causale.
Occorre ricordare che l’Italia non è un Paese ricco a livello di risorse energetiche. Dunque l’approvvigionamento delle stesse avviene tramite importazione (costosa) da stati più o meno vicini. Si parla del futuro di 64 piattaforme sulle 119 dei nostri mari (5 in Calabria) secondo i numeri di Assomineraria. Il referendum abrogativo riguarda le piattaforme per l’estrazione di petrolio e gas nelle acque italiane entro le 12 miglia marine dalla costa.
Il problema dell’inquinamento ambientale in questo caso è importante ma stranamente secondario in quanto le piattaforme esistono già da molto tempo e anche con la vittoria del “sì” continuerebbero ad esistere ed estrarre per un lungo periodo (ricordiamo che sono previste 3 proroghe alla data di scadenza del contratto estrattivo). Per l’ambiente sono necessari i controlli, già disposti, che forse dovrebbero essere intensificati.
La battaglia sul Sì o sul NO dunque nella votazione si sposta a livello prettamente economico. Con la vittoria del SI le compagnie petrolifere che attualmente sfruttano i giacimenti sino alla fine del loro contratto (anche se ci fosse altro materiale da estrarre) dovrebbero abbandonare l’estrazione alla scadenza prevista. Con la vittoria del NO o con il non raggiungimento del QUORUM (50% +1), le compagnie petrolifere continuerebbero a beneficiare dell’attuale legislazione e quindi ad estrarre sino all’esaurimento degli idrocarburi.
La legge prevede tasse riscosse dallo Stato, chiamate royality (ovvero un prelievo diretto alla “fonte”). In base al confronto con altri paesi del mondo, l’Italia è tra le nazioni con le royalty più basse (in base allo studio di Ernst & Young a cui fa anche riferimento il Sole24ore). E’ quindi un controsenso la circostanza per la quale si hanno solo pochi pozzi e li si affittano quasi in saldo anzicchè cercare di sfruttarli al massimo.
C’è poi il problema della franchigia, lo Stato italiano (come molti altri) per incentivare le compagnie ad estrarre, e quindi creare costose piattaforme, decide una specie di sconto per “aiutare” i colossi mondiali degli idrocarburi a rientrare dei costi sostenuti.
Per esempio in Italia fino a 50.000 barili all’anno, non si pagano. Tuttavia dal 50.001esimo barile la compagnia dovrà il 7% o 10% del valore di mercato del prodotto. È un dato di fatto che molte piattaforme estrattive restino sotto le quote di franchigia. Non ci vuole premio Nobel per capire che la compagnia energetica, possedendo diversi pozzi, può facilmente rimane sotto franchigia, è non pagare le royalty allo Stato (che ricordiamo ancora una volta sono tra le più basse al mondo pur basse).
L’abrogazione di queste regolamentazioni andrebbe a tutto vantaggio delle casse statali. Certo le compagnie dovrebbero sostenere dei costi di smaltimento delle piattaforme e di riallocazione delle risorse umane impiegate ma è qualcosa che può essere sistemato senza troppe difficoltà dato che come si tratta di effetto di lungo periodo (3 proroghe alla fine del contratto ed esiste anche la possibilità che lo Stato stesso decida per consentire alla compagnia, per motivi di particolari interesse, di arrivare ugualmente sino alla fine del giacimento).
Inoltre le compagnie sono dei soggetti privati che hanno beneficiato per decenni di tasse al di sotto della media mondiale. Il sistema energetico mondiale sebbene ancora molto dipendente dagli idrocarburi si sta volgendo però alle fonti rinnovabili. Sarebbe un buon motivo affinchè l’Italia possa approcciarsi con convinzione alle fonti di energia pulita come già hanno fatto altri paesi dell’unione europea.
Il 17 Aprile gli italiani dovranno dire sì o no al rinnovo di 21 concessioni estrattive già in essere per giacimenti entro le 12 miglia dalla costa. Quello che si estrae al giorno d’oggi equivale rispettivamente soltanto a 6-7 settimane di consumi di petrolio e 6 mesi di gas un minimo del fabbisogno nazionale motivo per il quel le royalty andrebbero in ogni caso aumentate…