Caridi (FI): il Nuovo Codice degli Appalti simbolo di incompiutezza

Antonio CaridiIl Governo Renzi, tra le riforme annunciate e lasciate a metà, presenta la recente incompiuta del Nuovo Codice Appalti, approvato dal Consiglio dei Ministri il 3 marzo scorso. L’annuncio, al solito roboante, dell’ennesima falsa rivoluzione del sistema pubblico chiaramente non sortisce alcuna vera novità nel campo degli appalti pubblici, lasciando scontenti tutti gli attori di un settore altamente strategico per il futuro dell’Italia. Preoccupante, inoltre, il superamento della Legge Obiettivo, il cui scopo era quello di programmare l’ammodernamento delle infrastrutture strategiche e di interesse nazionale con tempi e risorse certe; adesso saranno procedure di programmazione, senza l’adozione di strumento alcuno che indichi la strategicità delle opere pubbliche, a sostituire la Legge Obiettivo. Come dire che si procederà a tentoni, senza una preventiva pianificazione delle opere pubbliche necessarie e urgenti, senza alcuna riserva verso il Mezzogiorno, con decisioni prese secondo la simpatia e l’affinità dei territori. La legge Obiettivo aveva invece il merito di individuare, nell’ottica di una programmazione pluriennale, quali opere fossero essenziali per lo sviluppo del territorio nazionale, individuando, per tempo, le risorse da destinare e i tempi di realizzazione. La causa del mal funzionamento della Legge è stata dettata dall’inefficienza amministrativa piuttosto che dall’errata programmazione. Nel nuovo codice degli appalti, risulta essere eccessivo il potere discrezionale affidato alle stazioni appaltanti, che potranno decidere l’esclusione di un’impresa in assenza di indicazioni certe e oggettive. In più, nonostante il BIM (Building Information Management), standard di progettazione integrata e intelligente, scompare la parte specifica dedicata ai servizi di ingegneria e architettura, mentre i progettisti interni alla pubblica amministrazione potranno continuare a essere sprovvisti dell’iscrizione a un Ordine, essendo sufficiente la sola abilitazione. Per il subappalto, l’eliminazione del limite del 30% rischia di creare un’ulteriore frammentazione delle imprese edili, con ripercussioni sulla qualità del lavoro e un potenziale peggioramento del sistema di qualità delle imprese e delle opere realizzate. La nuova riforma degli appalti pubblici è insomma priva di visione e piena di inefficienze e limiti normativi e amministrativi. Passa il tempo ma, anziché prendere contezza degli sbagli dettati da una programmazione inesistenze che, sempre più mira all’esclusione del meridione, il Governo Renzi presenta l’ennesima incompiuta.

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