di Barbara Varchetta, (Pubblicista, esperta di Diritto e questioni internazionali)
Disordini e risse preordinate in locali pubblici molto frequentati, ordigni esplosivi in pieno centro a fini estorsivi, omicidi in quartieri residenziali, vigliacche intimidazioni ai danni di amministratori pubblici, imprenditori, giornalisti rei di raccontare i fatti che in troppi hanno inteso ignorare o minimizzare, minacce ed attacchi violenti a magistrati e loro familiari. Così la criminalità organizzata ricorda a tutti, ogni giorno e in ogni parte del nostro Paese, che è viva, più forte che mai, quasi immortale. C’è da chiedersi, allora, cos’altro occorra ai vertici dello Stato per prendere atto che la lotta alle mafie non è affatto vinta. Cos’altro ancora deve accadere prima che le Istituzioni smettano di chiedere alla popolazione di manifestare sgomento, indignazione, ribellione al sistema criminale, salvo poi abbandonarla al proprio destino assolvendo soltanto verbalmente all’obbligo di protezione e sostegno dei territori più deboli. Espressioni come “vicinanza dello Stato”, “immane azione repressiva contro i clan”, “carcere duro per i boss”, “sequestri di tonnellate di sostanze stupefacenti mettono in ginocchio la mafia” corrono il rischio di apparire assai vuote per i cittadini di molte regioni, specie del Sud, in cui, latitando il potere statuale, si è costretti a sottomettersi a quello criminale. Spesso ci si chiede cosa sarebbe stato il Meridione se avesse potuto contare non tanto su quella che può definirsi “elemosina pubblica” quanto piuttosto su veri investimenti in infrastrutture e servizi, ben controllati dal sistema centrale (proprio a scongiurarne l’illecita gestione), costantemente monitorati sino al naturale completamento, sottratti per quanto possibile alle infiltrazioni mafiose. Ebbene, forse sarebbe stato uno dei luoghi più incantevoli e desiderabili del mondo…Invece, in meno di un secolo, il Sud ha assunto le sembianze di un giardino incolto, abbandonato a se stesso, incapace di rifiorire a causa dell’incuria a cui lo stesso Stato , che avrebbe dovuto seguirne le evoluzioni e lo sviluppo, lo ha condannato. E che mai si dica che i cittadini meridionali amano vivere di espedienti e raggiri, di delinquenza e guadagni facili: si ridurrebbe la Questione Meridionale ad una bagarre da reality show. Le radici del disagio sono molto profonde e meriterebbero di essere indagate e discusse in sedi più appropriate, ma ciò che può dirsi di questa piaga storica è che essa ha consegnato alla società italiana, un decennio dopo l’altro, generazioni di persone che hanno dovuto “inventarsi” un modo per sopravvivere, finendo col calpestare la propria dignità pur di sfamare famiglie e figli, vedendoli persino morire, questi figli, in età giovanissima, perchè finiti nella morsa della criminalità senza che potessero più decidere di far ritorno alla loro vita di adolescenti. Persino i territori sono stati violentati e martoriati dall’indifferenza di quello Stato che non ha mai reagito al crimine organizzato per come avrebbe dovuto: ha permesso che i luoghi più sani ed affascinanti del nostro Paese diventassero le discariche d’Europa, è stato assolutamente intempestivo nell’arginare il fenomeno dei rifiuti tossici interrati qua e là (ma solo al Sud!!) che continueranno a seminare morte per i prossimi vent’anni, qualora si riuscisse a bonificare oggi tutta la macroarea compromessa dall’ avvelenamento. Coerenti politiche del lavoro (che al Sud sembrano non decollare mai), grandi investimenti industriali (preferibilmente non tanto inquinanti da uccidere i lavoratori e gli abitanti dei territori adiacenti agli stabilimenti), incentivi economici (ben distribuiti ed elargiti soltanto a fronte di spese reali, e soprattutto a sostegno di progetti compatibili con il territorio a cui sono destinati), diffusione dellacultura, intesa prima di tutto come scolarizzazione e poi come dibattito su legalità, onestà, rettitudine e su tutti quei meravigliosi temi che può comprendere soltanto chi non conosce le condizioni di bisogno, povertà, ignoranza, costrizione, paura: è quanto serve al Meridione per rialzarsi. Quella che viene distrutta ad ogni atto criminale è la speranza che questa terra ritorni ad essere “normale”, un posto in cui non sia il terrore a farla da padrone, in cui non sia la rassegnazione il sentimento più diffuso anche nelle giovani generazioni, di cui non ci si debba vergognare anche solo pronunciandone il nome. Ciò che non giova, infine, è il rimpallo di responsabilità a tutti i livelli, la ricerca di un unico capro espiatorio che esoneri gli altri dai medesimi inadempimenti, l’individuazione di teoremi non risolutivi né realistici ai soli fini di consegnare alla giustizia dei colpevoli molto spesso inconsapevoli, la spettacolarizzazione di attività che per definizione dovrebbero rimanere riservate fino al raggiungimento dell’obiettivo. L’Italia ha bisogno di sinergie. Ed allo stesso tempo, che ciascuno assolva al proprio ruolo senza travalicare quello altrui. La criminalità organizzata non sarà sconfitta semplicemente pretendendo dalle Forze dell’Ordine un impegno smisurato (non sostenuto peraltro da adeguate garanzie e da una giusta retribuzione economica) nonchè accompagnato da un continuo sacrificio personale e familiare; né si vincerà la guerra contro il crimine imponendo alla Magistratura un sovraccarico di indagini e processi tale da non consentire, neanche a chi volesse operare senza soluzione di continuità tra il giorno e la notte, di alleggerirlo. E non ci si illuda che dei giovanissimi, inesperti militari posti a presidiare le zone critiche delle città riescano ad arginare la ferocia delle mafie al punto da rappresentare un valido deterrente al loro agire. In tal senso, appare urgente l’approvazione di rinnovate misure ad hoc tese a ridurre questo fenomeno che non ha eguali nel suo genere e che, proprio in forza della sua ramificazione estesa oltre qualsivoglia confine geografico, riesce ad eludere anche le più decise pressioni statali. Rivedere i criteri del 416 bis, inasprire le pene per i reati anche prodromici a quelli di chiaro stampo mafioso, rendere le misure di prevenzione più agili ed attuabili in tempi brevissimi (lo stesso valga per i beni confiscati), non sottovalutare la possibilità di una spending review mirata ad annientare i veri sprechi nel settore Giustizia/Interno a tutto vantaggio di investimenti in risorse umane e mezzi, unica reale carenza del sistema. E infine, mettere al centro dell’azione investigativa la ricerca informativa sul campo, quella fatta di contatti diretti, pedinamenti, indagini alla vecchia maniera, ormai quasi accantonata a vantaggio di altri sistemi più moderni ma nient’affatto efficaci. Anche il nostro ben strutturato sistema di Intelligence, coinvolto in maniera più specifica, potrebbe fare la differenza nelle fasi di controllo ed infiltrazione della più pericolosa compagine criminale attualmente esistente. Mafia e corruzione contribuiscono a far sprofondare l’Italia agli ultimi posti nelle classifiche economiche, in quelle relative alla capacità di attrarre investimenti esteri, di generare occupazione, di garantire sicurezza sul territorio….con dati drammatici che riguardano il Sud, sempre più ripiegato su se stesso ed imbrigliato nel sistema del bisogno che trasforma in delinquenti anche i più onesti cittadini, costretti a scegliere tra sopravvivere vendendosi al crimine o vivere da emarginati senza alcuna prospettiva. E’ giunto il momento che lo Stato risponda con azioni combinate di politiche di repressione e prevenzione, da un lato, e di incentivi allo sviluppo ed all’occupazione, dall’altro… Al netto delle “superfantasiose” dichiarazioni di illustri rappresentanti istituzionali, di qualsivoglia schieramento politico e di qualsiasi epoca più o meno recente, la situazione attuale conferma che, finora, tutto questo non è ancora avvenuto.
fonte – agenzia DIRE – www.dire.it