No a stepchild adoption e affido rafforzato

comunità  Papa Giovanni XXIIIPosizione fortemente critica della Comunità Papa Giovanni XXIII sul ddl Cirinnà che vorrebbe regolare le unioni omosessuali e le convivenze: «È centrato su una visione adultocentrica, il bambino ha diritto ad un padre e una madre, non due padri o due madri» La Comunità Papa Giovanni XXIII esprime una posizione fortemente critica nei confronti del disegno di legge su “Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze” la cui discussione al Senato è prevista per il 26 gennaio. In particolare per quanto riguarda la cosiddetta stepchild adoption. «Tutta la normativa che si è sviluppata in Italia a partire dalla legge n. 184 del 1983 sull’affido e l’adozione ha posto al centro il diritto del bambino a crescere in una famiglia, con un papà e una mamma, non quello degli adulti ad avere un figlio» dichiara Giovanni Ramonda, responsabile generale dell’associazione. «L’articolo 5 del ddl Cirinnà è invece chiaramente orientato ad assicurare un figlio alla coppia omosessuale, ma tutta la psicologia dell’età evolutiva dimostra che lo sviluppo armonico ha bisogno della presenza della figura paterna e materna, mentre non c’è alcun bisogno del minore di avere due padri o due madri. Inoltre è evidente che, non potendo la coppia omosessuale generare un figlio, questa scelta andrebbe a favorire la pratica dell’utero in affitto, che è una inaccettabile forma di sfruttamento della donna e va a pianificare la nascita di bambini orfani di madre». La Comunità Papa Giovanni XXIII rifiuta anche l’ipotesi attualmente in discussione a livello politico di risolvere il problema con una forma rafforzata di affido. «Una scelta di questo tipo andrebbe a snaturare questo strumento giuridico importantissimo che consente di dare ad ogni bambino una vera famiglia temporanea, in attesa che possa ritornare nella famiglia di origine o andare in adozione in una nuova famiglia – prosegue Ramonda –. Anche per l’affido va ribadito che è uno strumento per dare una famiglia ad un bambino, non un bambino ad una coppia senza figli». «Invitiamo i legislatori a concentrarsi sui diritti dei minori piuttosto che su quelli degli adulti – conclude Ramonda –. Dai dati disponibili risulta che in Italia due terzi dei minori da 0 a 2 anni con difficoltà familiari vengono collocati in comunità con operatori a turno, mentre ci sono tantissime famiglie disponibili. Questa è una vera emergenza sulla quale bisognerebbe intervenire, sostenendo reti di famiglie disponibili ad accogliere questi bambini e le vere comunità familiari che assicurano la presenza di una mamma e un papà».

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