Tre novità, in riferimento al Ponte sullo Stretto, ci permettono di guardare al futuro positivamente. Il Comitato Ponte Subito, infatti, fa sapere che la petizione, indirizzata al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ed al Premier italiano Matteo Renzi ha raggiunto le 5.000 firme. Un risultato lusinghiero che non è poca cosa, stante il black out dei grandi media nazionali, la disinformazione a cui è stata sottoposta l’opinione pubblica nazionale, nonché il ‘benaltrismo’ usato dai No ponte e da quanti considerano il Mezzogiorno terra da illudere con improbabili iniziative. La seconda notizia, contenuta in un articolo di Panorama, ci ricorda che a fine novembre debbono essere depositate le memorie difensive da parte della Stretto di Messina, citata in giudizio da Salini-Impregilo e Parson. Il processo potrebbe essere spostato in Lussemburgo, dato che sia Eurolink sia la Stretto di Messina Spa contestano la legittimità del decreto col quale si è cassato l’appalto. Insomma “una pessima figura a livello internazionale con imprese come la Sacyr spagnola, l’americana Parsons e la giapponese Ishikawajima-Harima Heary Industries CO Ltd che possono (aldilà dei risarcimenti ndr) ben dire sull’inaffidabilità del Paese”. Che lo stop al Ponte sia stato deciso dal Governo Monti non serve, comunque, a salvare l’Italia da una vergognosa risonanza mediatica che sarà difficile scrollarsi di dosso. Del resto lo stesso Monti aveva temuto, a suo tempo, che quel ‘compito a casa’ richiestogli puzzasse parecchio e che egli e il suo Governo avrebbero potuto rischiare di essere chiamati a rispondere, da parte della Corte dei Conti, dei danni subiti da chi legalmente aveva vinto una gara d’appalto internazionale. Così può spiegarsi il motivo per il quale ‘il più tedesco degli italiani’ ha preteso che il blocco all’appalto fosse inserito in un decreto legge, trasformato dal Parlamento in legge dello Stato. Quell’inserimento, forse, li ha salvati da esosi risarcimenti, ma non da un pessimo giudizio della storia. In un Stato serio ci sarebbe il rischio di essere messi in stato d’accusa per aver operato contro gli interessi nazionali, contrabbandando gli interessi di paesi protesi a difendere il ruolo dei porti del Nord Europa con quelli dell’intera Comunità, tra cui appunto l’Italia. Soltanto dei finti allocchi possono lasciare ad intendere che attraversato il Canale di Suez (nel frattempo attrezzatosi per il maggior traffico previsto) sia più conveniente superare Gibilterra e circumnavigare l’Europa per depositare i container a Rotterdam e Anversa, per poi smistarli su ferrovia A/V a Genova o Venezia (almeno quelli diretti in Italia), anziché farli transitare direttamente via Sicilia – Calabria lungo la penisola italiana. Ad Augusta e Gioia Tauro – se questa è ancora Italia – utilizzandone una quantità programmata, compatibile con il quadro generale europeo potrebbe svilupparsi una florida attività di semilavorati artigianali e industriali a prezzi veramente competitivi, detratti dagli enormi costi aggiuntivi di trasporto su nave e assicurativi. Questo, e questo solo significa partecipare realmente al flusso commerciale globale, più ricco del petrolio, e che fa apparire come uno dei misteri più inquietanti dell’Italia repubblicana ciò che ha fatto il ‘Professore’, già rettore dell’Università Bocconi, con la sciagurata scelta di tentare l’abbattimento del Ponte di Messina, mettendo out logistica integrata e attività commerciali di circa 1/3 del Paese. La terza grande novità è rappresentata dall’interesse manifestato del Governo a far ripartire l’appalto, evitando il pagamento di penali a fondo perduto, pari alla quota di competenza statale per realizzare la megastruttura. Con ciò cogliendo la palla al balzo di chi si dichiara pronto a rinunciare alla penale, se si dovesse decidere di riattivare l’appalto del Ponte. Sarà vero? Se lo fosse saremo i primi ad applaudire, perché il Ponte non ha colore politico: piuttosto deve essere opera come se ne fanno al Nord, mai etichettate di questo o di quel colore. Altra bega, questa, artatamente posta fra i piedi del Sud, a cui i finti allocchi danno spago per gli interessi di boss benvestiti. In conclusione il Ponte serve all’Italia per non essere esclusa dal business del trasporto containerizzato: presenza che non crea problemi ad alcuno, se non ai referenti di rigurgiti egemonici – da combattere – viste le grandi quantità di merci in transito nel Canale di Sicilia e tendenti al raddoppio nei prossimi anni. Il Ponte serve anche alle Regioni meridionali, quale polarità carismatica per circa 10 milioni di turisti all’anno in transito nel bacino del Mediterraneo: vero e proprio Expo a tempo indeterminato, chiave di volta per i bacini culturali a cielo aperto di cui è ricca l’Italia. Questo il binario concreto, non parolaio per il progetto turistico culturale del Ministro Franceschini, se riesce a farne parte convinta il Governo! Proprio a tal fine il Ponte serve perché agevola la mobilità regionale, interregionale, nazionale, trascinando con sé l’AV ferroviaria e i sistemi di logistica integrata (porti, aeroporti, autostrade). Ma il Ponte serve pure alle Università dell’Area dello Stretto, potenziali depositarie dello studio, dell’innovazione scientifica, della conoscenza, della cultura, arricchendo di patrimoni esclusivi (per opere di tal fatta) la preparazione dottrinale, le competenze dei docenti e la qualificazione dei laboratori. Occasione irripetibile per un generale rilancio! Si, generale rilancio, perché per dirla col Ministro della Giustizia, Andrea Orlando “se non cresce il Sud, infatti, è l’Italia che non cresce come potrebbe invece fare: se il Sud non coglie le occasioni, è l’intero paese che è destinato a perderle”. Come a dire che non si tratta di “primavera meridionale” ma anche della reale ripresa dell’intero paese che non può pensare di tirare avanti con gli zero virgola quando il Ponte vale, da solo, oltre 2 punti di crescita del Pil.
Riceviamo e Pubblichiamo – Giovanni ALVARO e Cosimo INFERRERA