A volte succede che, per farsi accettare da quella parte di società che ai propri occhi appare migliore, l’uomo arrivi addirittura a disconoscere il nucleo familiare da cui ha avuto origine, dicendo su di esso peste e corna. Ed è ciò che si percepisce leggendo l’intervista, dei giorni scorsi, di tal Piercamillo Falasca su “Italia Oggi”. Il giornale tende a dirci che si tratta di un economista che ha visto la luce in quel di Sarno, cittadina del Mezzogiorno d’Italia. Già nel recente passato aveva scritto per Il Foglio un pezzo dal titolo “Mezzogiornexit”, sottolineando che la situazione greca non è diversa da quella del Sud Italia, e nell’intervista successiva ha rotto ogni argine arrivando ad affermare che anche per il Mezzogiorno bisogna usare la stessa ricetta usata per Atene: riforme in cambio di aiuti. L’intervistato dimentica che il Mezzogiorno non ha sovranità statale, che le riforme le ha fatte l’Italia e che esse sono state applicate anche al Sud. Non ci risulta che la riforma delle pensioni non sia stata estesa nelle regioni dell’ex Magna Grecia, che il Job Act non sia in vigore anche nel Sud, che la tassazione, ormai al 44,1 per cento, non colpisca i cittadini meridionali, che l’Iva applicata nel meridione non è dissimile da quella nazionale, e che la riforma della buona scuola non si estenda fin quaggiù. Falasca presenta il Sud come un territorio di predatori che vivono solo di trasferimenti statali, di impiego pubblico e di intrallazzi vari, e lo fa con accenti duri che fanno pensare che il <suo> Nord sia chiaramente diverso e mondo dalle nefandezze meridionali, come se lì non ci fossero gli stessi mali italici che si chiamano dissesti finanziari di MPS, Ospedale S. Raffaele, Expo, Mose, ‘Mafia Capitale’, malgoverno diffuso (salvo lodevoli eccezioni). Partendo da detto nucleo concettuale ecco la bocconiana ricetta che Falasca presenta solo per il Meridione! “Niente grandi opere e niente autostrade che costano troppo e servono dove c’è domanda”: qui il Falasca tocca il diapason della illuminazione, retrograda! Sconosce, o fa finta di sconoscere, che: “è la strada che fa il traffico, non è il traffico che fa la strada” come disse, a chiare lettere, il famoso ingegnere americano David Bernard Steinman, progettista di ponti negli Stati Uniti, in Thailandia, Inghilterra, Italia, Haiti, Puerto Rico, Canada, Corea, Iraq, intervenendo nel 1954 in riva allo Stretto di Messina dove si era recato proprio per un convegno sul Ponte, filmato dall’Istituto Luce. In quell’occasione c’eravamo anche noi e l’inizio dei lavori sembrava imminente, con capitali americani alle spalle. Ma non andò così. Quando nel 1800 partirono i primi colpi di piccone per lo scavo della metropolitana di Londra – la più antica rete metropolitana del mondo, inaugurata nel 1863, la più estesa d’Europa e la seconda del mondo per estensione vantando ben 460 km di linea autonoma di cui il 45% costituito da gallerie sotterranee, superati solamente dai 537,4 km del recente impianto di Seul – io non c’ero, ma neanche uno di 1.073.000.000 di passeggeri circa che oggi anno la utilizzano. Anche all’Expo di Parigi del 1900, quando fu inaugurata la prima linea del Metrò non c’era nessuno dei circa 4 milioni di viaggiatori che secondo studi effettuati vennero trasportati ogni giorno nel 2009 (1,479 miliardi all’anno). Lo stesso capitò a Milano nel 1964, quando si inaugurò la prima linea. A Falasca è, dunque, oscuro il concetto che le megastrutture si stimano nel medio – grande periodo, non facendo i conti come un valente ragioniere, spicciolo dopo spicciolo. Pare implicito che il diniego sia solo per la sua ex-terra, mentre per la patria adottiva le infrastrutture servono perché c’è la domanda. Anche qui col no al Ponte l’intervistato dimostra di sconoscere gli argomenti che tratta. Ignora, infatti, a cosa serve il Ponte e cosa sia l’interscambio merceologico, che viene oggi gestito dai porti del Nord Europa, come Anversa, Rotterdam e Amburgo, a meno che non si muova coscientemente nell’errore perché ‘vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole’, puntando a difendere lo status quo nel sistema logistico europeo. Insomma 5 milioni di teu container che oggi transitano nel Canale di Sicilia, ogni mese, sono troppo appetibili per i paesi del Nord Europa che non vogliono dividere la torta pur sapendo che il costo del trasporto viene appesantito di ben 5/6 giorni di navigazione con noli marittimi pesantissimi, e soprattutto ci si carica di un notevole ritardo. Il corridoio 1 era nato proprio per questo, ed era stato deciso da una vera classe dirigente europea. Al bocconiano diciamo solo che la domanda, fatta di container e merci, esiste, eccome se esiste. ma va ‘intercettata’ e, in parte, conquistata con trasporto ferroviario ed A/V. In pratica l’Italia non può non sedersi alla tavola delle trasporto merci. Infine vorremmo ricordare a questo economista che da solo il Ponte vale almeno 2 punti di PIL, che libera dall’isolamento oltre 11 milioni di cittadini meridionali, che richiama con gli adeguamenti di “Non Solo Ponte” una diecina di milioni di turisti annualmente in circolazione nel Mediterraneo e offre al paese la base logistica per il trasporto dei container. La sua ricetta per risolvere i problemi del Sud fatta “solo” con la banda ultralarga è un elemento di pura fantasia. Servono le infrastrutture, da materiali a immateriali, serve tutto, e tutto fatto e gestito con efficienza, ma la banda ultralarga da sola, comunque, non risolverebbe proprio nulla e alla fine ci ritroveremmo a scaricare a velocità pazzesca film e email e niente altro, ma continuando ad arrivare a Roma col calesse. E in queste condizioni, senza A/V il turismo è solo una bella espressione da conferenza. Insomma il Falasca stavolta ha sbandato paurosamente. Risponde alle domande e sembra di ascoltare il sindaco di Messina quando in TV arrivò a dichiarare, col furore del ruolo tibetano che si è scelto, che al profondo Sud “non serve l’Alta Velocità”. Vien da dire che ‘Ignorantia non est argumentum’. E sembra, anche, di ascoltare vecchie sinfonie post belliche con le quali hanno imposto le gabbie salariali nelle regioni meridionali, con la motivazione “che avrebbero attratto gli investitori”. Li abbiamo attesi per oltre 35 anni inutilmente, e ora (dopo altri 35 anni) ce li ripropone facendo credere che il costo del lavoro è composto dal solo salario, e non anche dal costo fiscale e previdenziale. Si è tanto compenetrato nel ruolo antisud come Alberto Sordi a Milano, che dopo essere stato bistrattato dai <polentun> finisce col fare il tassista, usando gli stessi metodi, messi in atto contro di lui. Tra i nemici del Sud vanno quindi annoverati anche i ‘migranti meridionali’, che sanno essere più feroci di qualche nordista bieco e cieco. Il giovane intervistato è più preso a lanciare slogan che ad elaborare un buon ragionamento di sviluppo economico: la colpa non è interamente sua, ma dei cattivi maestri già rettori, assurti all’apice dei governi nazionali, la cui azione si rivela ogni giorno di più come la iattura più grave del periodo post bellico.
Giovanni Alvaro e Cosimo Inferrera