L’obiettivo era (ed è tuttora) quello di fare il possibile per mantenere la Grecia all’interno della zona euro e della stessa Ue, tanto è vero che, alla fine, anche l’opposizione greca ha approvato il cosiddetto piano Tsipras contenente le proposte del governo ellenico utili ad arrivare a un accordo con i creditori. Ma ad Atene, come a Bruxelles, le polemiche sono già iniziate e minacciano non soltanto di dar vita a nuove tensioni con le istituzioni europee ma addirittura di mettere in discussione sia l’intesa di cui sopra che la prosecuzione del governo guidato dal leader di Syriza. Il motivo è molto semplice. Il premier greco, in realtà, secondo quanto a lui viene “addebitato”, non avrebbe fatto altro che chinarsi dinanzi alle continue richieste dei creditori, presentando un nuovo piano di riforme (anche quelle contestate) e di tagli di circa 13 miliardi con l’intento di ottenere l’impegno Ue di rivedere il debito e di sbloccare l’erogazione di nuovi aiuti, sia quelli per coprire i debiti per i prossimi tre anni sia quelli richiesti per rilanciare la crescita, per un totale di circa 90 miliardi.
Che Tsipras, nonostante l’esito del referendum, abbia valutato di cambiare posizione, ammorbidendosi, è una possibilità da non scartare, tanto è vero che non solo sono riprese le proteste in Grecia ma anche che lo stesso Syriza appare avviarsi vero una spaccatura interna. Lo zoccolo duro del partito, come anche Alba Dorata, sarebbero, infatti, propensi a percorrere la strada che porta all’uscita dall’euro. Le dimissioni dell’ex Ministro delle Finanze Varoufakis potrebbero essere lette proprio in quest’ottica, ovvero come un segnale di (forte) distensione lanciato all’Ue rispetto alla precedente gestione della crisi. Le prospettive future, pertanto, potrebbero determinare esiti imprevedibili, con il premier che potrebbe finanche essere costretto a dimettersi se, in occasione del voto in Parlamento sull’accordo, non dovesse ottenere il risultato sperato.
Una cosa è certa: con il si, sarà necessario mettere in soffitta il programma che ha visto Tsipras vittorioso alle recenti elezioni, in quanto buona parte delle promesse fatte non potranno essere mantenute, soprattutto nel caso della riforma delle pensioni, delle agevolazioni e dei vantaggi fiscali, nonché del blocco delle politiche di austerità. Circostanze, queste, poco felici, che non faranno altro che alimentare le tesi di chi non si era limitato nei mesi scorsi a sottolineare il “gioco sporco” del premier greco, che sarebbe stato perfettamente al corrente dell’impossibilità dell’attuazione del suo programma elettorale, ma che si era spinto sino a qualificare il referendum come l’ennesima buffonata.
Altra certezza è che pare non esserci alcun piano B, che magari valuti persino la tesi estrema dell’uscita dalla moneta unica europea e dall’Ue con conseguente avvicinamento alla Russia di Putin. Ma Tsipras – e questo è un aspetto decisivo e controverso – dovrebbe avere dalla sua nientemeno che i creditori del proprio Paese che, secondo quanto emerso, avrebbero dato parere positivo alla proposta del governo greco, considerandola una buona base di trattativa. La palla passa adesso al prossimo Eurogruppo.