Sulle spalle di chi si è fatta sentire in misura maggiore la crisi economica del nostro Paese?
Se a rispondere a questa domanda, la cui risposta in realtà è già ampiamente conosciuta, è anche l’Inps, molti muri di ipocrisia, gli stessi che reggono il “gioco” politico italiano dal 2011, sono destinati a crollare. Probabilmente questo non sortirà alcun effetto immediato ma l’opinione pubblica ha comunque un altro dato a propria disposizione per giudicare i risultati di 4 quattro di anni di governo imposti.
La crisi economica italiana, secondo quanto emerso dal Rapporto annuale dell’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale, ha colpito, in primo luogo e soprattutto, le fasce sociali più deboli, quelle, tanto per intenderci, con i redditi più bassi, le quali, rispetto al 2008, hanno perso il 27% del reddito disponibile a fronte del 5% sofferto, invece, dai più benestanti. Ma questo dato, di per sé controverso, non è sufficiente a disegnare la cornice involutiva entro la quale gli italiani sono stati costretti a vivere. In questi ultimi sei anni, in Italia la povertà è risulta in progressiva crescita, tanto da essere passata dal 18% al 25% della popolazione (da 11 a 15 milioni). E a rimetterci di più sono stati gli italiani nella fascia di età compresa tra i 50 e i 59 anni. A ciò si aggiunga che ben il 42,5% dei pensionati sono costretti a “beneficiare” di una pensione che non arriva neppure a mille euro. Si tratta di più di 6 milioni di cittadini a cui, secondo i dati contenuti nel rapporto, è riconosciuta un percentuale non certo soddisfacente pari al 18,9%, corrispondente a una cifra che nel 2014 si aggirata intorno ai 50 miliardi di euro.
I conti dell’Inps, tuttavia, non determinano un rischio per la sostenibilità del sistema. Secondo quanto emerso, infatti, a seguito del ripianamento dei debiti verso lo Stato dell’ex Inpdap di 21,7 miliardi, il patrimonio è passato da 9.028 a 17.952 miliardi (considerando, tra l’altro, che nel 2014 l’Inps ha avuto un risultato economico di esercizio negativo per 12,7 miliardi).