La prima è la vedova del carabiniere ucciso dopo un rave party e l’altra è madre dell’omicida
Lamezia Terme, 30 giugno 2015 – Irene Sisi e Claudia Francardi; due donne unite dal dolore e dalla forza del perdono. Saranno loro le protagoniste dell’incontro che si terrà venerdì 3 luglio alle ore 20.30 nell’auditorium del parco “Impastato” a Lamezia Terme e organizzato dall’Azione Cattolica – Parrocchia San Raffaele in collaborazione con Lions Club Lamezia e Habitat. Un incontro dibattito molto toccante, quello tra la vedova del carabiniere ucciso dopo il rave party e la madre dell’omicida, che rappresenta una testimonianza molto forte di fede e di perdono. Claudia Francardi, 45 anni, e Irene Sisi, 39 anni, sono due donne divise da una tragedia: una è la vedova dell’appuntato Antonio Santarelli, ridotto in fin di vita ad un posto di blocco e morto dopo un anno di coma nel 2012, l’altra è la mamma di Matteo Gorelli, 22 anni, il giovane aggressore, che per quella morte sta scontando 20 anni in una comunità di don Mazzi. Insieme hanno dato vita all’associazione “AmiCainoAbele”: insieme stanno girando l’Italia far sì che la loro vicenda diventi un seme fecondo per altri e per diffondere la cultura della riconciliazione. Che passa attraverso alcune parole che stanno alla base del progetto: verità, responsabilità, compassione. Il perdono, infatti, è un fatto personale, ma può nascere dentro un cuore preparato e all’interno di una situazione in cui la giustizia fa il suo percorso. Verità e responsabilità: quella che ha detto Matteo e che Matteo si è assunto. Se anche in sede processuale la verità non fosse emersa fino in fondo e Matteo non avesse compiuto un percorso di consapevole pentimento, non ci sarebbe stato un «dopo» diverso da quello che sembrava già scritto: una storia di dolore in sopportabile, capace solo di «congelare» ciascuno nel proprio dramma.
Da questo percorso di discesa nell’inferno del male, la risalita è diventata invece un percorso di resurrezione, che può guarire “Caino” e “Abele” e può aiutare tanti altri a sperimentare che il perdono non è utopia, non è per gente “debole”, ma per chi ha testa e cuore, per chi sente dentro di sé che c’è una strada percorribile, per quanto stretta e piena di insidie e dentro una vicenda che stordisce c’è un pertugio e una ferita enorme, che ancora fa male, ha però potuto trasformarsi in una feritoia dalla quale filtra quel tanto di luce che ha permesso il perdono.
Comunicato stampa