Una giustizia introvabile…

Alessandra Brodini

Si è attoniti, di fronte agli ultimi accadimenti che stanno intingendo, con inchiostro indelebile, le pagine della storia italiana. Il Presidente del Consiglio con i Ministri dell’Interno e Affari Regionali, a breve, dovrà determinarsi per il caso De Luca. Secondo la legge Severino, infatti, il neoeletto Governatore non potrebbe – il condizionale è d’obbligo – governare la Regione Campania. Il decaduto sindaco di Salerno ha infatti una condanna per abuso d’ufficio che costringe oggi il Premier ad applicare, suo malgrado, la predetta norma sospendendolo per ben 18 mesi. La sospensione dovrebbe essere automatica e priva di alcuna discrezionalità circa i tempi e i modi, tanto da non consentirgli di nominare un Vice Presidente e una Giunta. La vicenda richiama il percorso scelto da Scopelliti che, rimasto imbrigliato nelle maglie della Severino, in questo caso applicata tempestivamente e con effetto retroattivo, ha deciso di rispettarla dimettendosi dalla carica di Governatore e prestando così attenzione più all’etica ed all’alto senso dello Stato che all’investitura, seppur legittimamente conquistata. In uno stato di diritto ci si attende che l’imperativo categorico insito nel principio GIUSTIZIA non venga meno! Andando oltre, come De Luca sta a Scopelliti, Roma capitale sta al comune di Reggio Calabria! E’ di tutta evidenza, infatti, quanto le determinazioni della Presidenza del Consiglio in ordine all’applicazione della legge Severino evidenzi un nesso con la normativa – in revisione da anni – sullo scioglimento dei consigli comunali per infiltrazioni mafiose. Non a caso vi è una correlazione tra la recente inchiesta meglio denominata -mafia capitale- e quanto accaduto a Reggio nell’ottobre del 2012. In queste ore si apprende dello scempio che sta venendo fuori dal buco nero capitolino, trattative con la mafia e turbative d’asta, manipolazione di danaro pubblico rubato ai cittadini, quel danaro che si toglie dalle tasche dei contribuenti con tasse e imposte di giorno in giorno sempre più stringenti. Nel sentire fare i nomi di politici ed amministratori che gestiscono la cosa pubblica con modalità mafiose, obbedendo a logiche perverse e fuori controllo, appare scontato, purtroppo, che debba essere disposto lo scioglimento del consiglio comunale di Roma per fenomeni di infiltrazione e di condizionamento di tipo mafioso. Conseguenza questa delle considerazioni addotte già nel 2012 dall’allora Ministro dell’Interno Cancellieri che, nell’ottica di un approccio preventivo al problema, sostenne che lo scioglimento del consiglio comunale di Reggio Calabria era fondato sull’innovativo concetto di contiguità mafiose. Eh sì, venne disposto lo scioglimento del comune di Reggio Calabria senza che nessun amministratore componente della Giunta fosse stato mai inquisito. Sebbene ciò che accadde allora sembra roba da principianti rispetto a ciò che sta accadendo in questi giorni nella capitale italiana, di ”scioglimento” per omologhe “contiguità” a Roma non sembra se ne voglia sentir parlare. Sorge spontaneo chiedersi dove sia finito quel desiderio – più che legittimo, ovviamente – dell’ex Ministro Cancellieri di riportare “legalità” ai territori se, in riferimento al ciclone mafioso che sta risucchiando la capitale, sembra si voglia intraprendere la strada che punta a salvare il Campidoglio e chi lo gestisce, piuttosto che a resettare il tutto. Il Premier, infatti, ritiene doveroso andare a fondo alla vicenda ma riferendosi a Marino sostiene che <<non si debba sparare nel mucchio e fare di tutta l’erba un fascio…lui è altro rispetto alla cricca….>>. Sfugge a Renzi che a Reggio Calabria l’allora sindaco Arena, persona di grande rettitudine ed integerrimo amministratore, è stato stritolato dalla macchina del fango con l’avallo di quei detrattori di sinistra che, senza fare sconti lo hanno mandato a casa. Ma la legge va applicata pedissequamente. Pertanto, Marino va sollevato dall’incarico così come è stato fatto con Arena per molto meno. Macroscopica, quindi, la differenza di trattamento istituzionale e mediatico tra ciò che accadde tre anni fa alla nostra Reggio. Una democrazia malata, quella italiana, fatta di due pesi e due misure e in cui la giustizia è introvabile. Si sa, purtroppo, che se quanto sta accadendo a Roma fosse successo qui o in un’altra grande città del sud, avremmo letto tutt’altro sui media, ascoltato esperti in ogni salotto televisivo possibile e visto moltiplicarsi a più non posso i Saviano di turno. E’ possibile assistere a queste contraddizioni così eclatanti, alla strumentale e lesiva denigrazione di una comunità, etichettata con l’appellativo di epicentro della mafia e pochi anni dopo leggere di opposte interpretazioni/applicazioni delle stesse misure, rese così “morbide” per il Campidoglio infestato dal virus mafioso? Se dovesse diffondersi, erga omnes, il convincimento che lo stato di diritto non esiste più, che il sistema è irrimediabilmente marcio, connotato dal costume del malaffare dilagante tra politica, imprenditoria e istituzioni, si correrà il rischio di una totale perdita di credibilità nelle massime istituzioni, alimentando il dissenso del popolo che, ormai disilluso e distante come dimostrato dal dato elettorale delle recenti amministrative, potrebbe in un futuro non troppo lontano determinare processi inimmaginabili e destabilizzanti, in grado di fomentare l’onda dell’antipolitica minando nelle fondamenta le dinamiche di uno stato democratico.

Alessandra Bordini – Reggio Futura

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