di Carlo Viscardi -Un anno fa, fra slide ormai diventate di uso comune nell’esecutivo, e grandi proclami lanciati su tutti i mezzi di comunicazioni e social network , venivano abolite le province di tutta Italia, almeno così si era detto….
Certo ci sarebbe dovuto essere un periodo di transizione o assestamento, fase di transizione che sarebbe dovuta durare fino al 31 dicembre 2014, in cui le province sarebbero dovute diventare enti di secondo grado e mantenere le funzioni di area vasta ed esercitano le funzioni di pianificazione riguardo a territorio, ambiente, trasporto, rete scolastica; ma ora non si sta ad entrare nello specifico dei compiti assegnati… Ma, c’è sempre un ma, a maggio del 2015 sono ancora vive e vegete e dei suoi dipendenti, stimati circa 20.000, nessuno sa come dove e quando verranno ricollocati, compito affidato alle Regioni, alle quali Corte dei Conti evidenzia il grande ritardo. Il ministro Madia interviene e dichiara : “ Abbiamo un’apertura di credito nei confronti dei territori ma se non fanno bene il loro lavoro, in ultima istanza, sappiamo che abbiamo le risorse e gli strumenti per ricollocare noi, dallo Stato, le persone”. Come spiega Il Messaggero, a parte l’Emilia Romagna che dalla relazione risulta non aver approvato ancora il disegno di legge regionale in giunta, in tutte le altre Regioni il ddlr sui trasferimenti e riordino, è passato in giunta. Soltanto in cinque regioni (Toscana, Friuli Venezia Giulia, Umbria, Liguria e Marche) però è già diventato legge regionale. Di contro le spese delle province, al posto di rimanere sulla carta, riportate nella realtà dei fatti sono vivissime e stanno aumentando e lievitando: raddoppiata la spesa per l’acquisto di servizi per la consultazione elettorale. Aumentata del 65% la spesa per i gadget territoriali e +24% anche i costi del lavoro interinale, di certo in una situazione per nulla rosea quale è quella del nostro stato non è di certo di giovamento dato anche il fatto che è notizia di ieri che il debito pubblico italiano ha raggiunto un altro record. Secondo Bankitalia è cresciuto di 15,3 miliardi, a 2.184,5 miliardi; picco atteso, dicono gli esperti, ma l’occhio vigile dell’UE non manca di farsi notare infatti mette le mani avanti e sembra volersi ritagliare il diritto a chiedere di più se le cose non dovessero andare secondo le previsioni.
Quindi in vista si potrebbero ipotizzare privatizzazioni per il debito e tagli alla spesa per il deficit, ne potrebbero spuntare altre, naturalmente mascherando nel rispetto di un classico delle raccomandazioni di Bruxelles, lo spostamento della pressione fiscale dalle attività produttive a quelle improduttive. Quindi patrimoni finanziari e immobili. In altre parole un’altra patrimoniale, dopo quella sugli immobili dei governi Monti e Letta, quindi un’impoverimento ulteriore dell’uomo di strada senza alcun giovamento, anzi con un ulteriore taglio dei “benefici” del welfare sanità scuola e cultura. Si continua a leggere nella “letterina” spedita al nostro governo da “Mamma UE” che “I proventi delle privatizzazioni nel 2014 sono stati pari allo 0,2% del Pil, al di sotto dell’obiettivo dello 0,7% all’anno” e chiede di “attuare in modo rapido e accurato il programma di privatizzazioni; ricorrere alle entrate straordinarie per compiere ulteriori progressi al fine di assicurare un percorso adeguato di riduzione del rapporto debito pubblico/Pil”. Quindi se da una parte abbiamo delle province “virtuali” ma che aiutano all’aumento REALE del deficit, abbiamo dall’altra una UE che preme e non si accontenta dei piccoli risultati degli ultimi 3 Governi, piccoli risultati ottenuti con enormi sacrifici dei “Soliti Noti” e con una continua emorragia di cervelli e risorse verso l’estero.