1975-2015: nel 40° annniversario del martirio, la destra reggina ricorda Sergio Ramelli

centrostudiQuest’anno ricorre il quarantesimo anniversario della morte di Sergio Ramelli, militante del Fronte della Gioventù milanese assassinato da un gruppo di attivisti della sinistra extraparlamentare legati ad Avanguardia operaia. Ramelli fu aggredito il 13 marzo 1975 e morì dopo 48 giorni di agonia. Aveva 19 anni. A quarant’anni di distanza la sua fine, spietata e straziante, è diventato l’emblema di una stagione di ferocia ideologica, i cui postumi si risentono ancora oggi. Sabato 9 maggio alle 17,30, presso la sala convegni della Provincia, sarà presentato il libro “ Sergio Ramelli – Una storia che fa ancora paura”. All’iniziativa parteciperà anche Guido Giraudo che è coautore del libro ed è promossa dal Centro Studi Tradizione Partecipazione, Reggio Futura, Destra per Reggio, Alleanza Calabrese, Fratelli d’Italia, Fiamma Tricolore, Movimento Reggini Indignati, Ordine Futuro, Movimento Autonomo Alternativo. La storia di Sergio Ramelli suscitò commozione e sgomento nell’Italia post ’68 che si avviava drammaticamente ai tristemente noti “anni di piombo” che, nel nome degli opposti estremismi, spezzarono decine di giovani vite innocenti sia a destra che a sinistra. Ramelli era un ragazzo come tanti, che viveva i suoi 19 anni diviso tra lo studio, la passione per il calcio, la fidanzata e la politica. Frequentava l’Istituto tecnico Molinari di Milano, quando fu bollato con il marchio di “fascista”, solo per aver scritto un tema in classe in cui criticava l’operato sanguinario delle Brigate Rosse. Sergio non poteva nemmeno immaginare che quel tema sarebbe stata la sua condanna a morte. Al termine del compito, infatti, un paio di ore più tardi il suo tema verrà affisso nella bacheca all’ingresso della scuola. Quasi tutte le frasi sono sottolineate e sopra una scritta rossa ammoniva: “ecco il tema di un fascista”. Da quel momento in poi Sergio diventò un bersaglio. Qualche giorno prima dell’aggressione, cominciarono le telefonate anonime a casa, dall’altra parte della cornetta nessuna parola, soltanto l’inconfondibile motivetto di bandiera rossa. Successivamente comparvero le scritte sotto casa: “Ramelli fascista sei il primo della lista” e “hazet 36 fascista dove sei”. Quel 13 marzo 1975, era di giovedì, Sergio andò a scuola come tutti i giorni, seguì le lezioni e aspettò il suono della campanella per riprendere il suo vecchio motorino usato e tornare a casa. Lì fu aggredito da quattro “idraulici” (così venivano chiamati i killer armati della famigerata chiave inglese hazet 36) che lo colpirono a ripetizione alla testa senza pietà. L’azione durò pochi minuti, Sergio rimase a terra in un lago di sangue, ma ancora vivo. Per altri quarantasette giorni combatterà contro la morte in un letto dell’Ospedale Maggiore dove, dopo una lunga e straziante agonia, martedì 29 aprile 1975 il suo cuore si arrese. Al processo, svoltosi 12 anni dopo, tutti gli imputati furono ritenuti colpevoli: Marco Costa ricevette 10 anni e 1 mesi di reclusione; Giuseppe Ferrari Bravo 9 anni e 7 mesi, entrambi per aver materialmente colpito Ramelli. Claudio Colosio ricevette 7 anni; Antonio Belpiede 7; Brunella Colombelli, Franco Castelli, Claudio Scazza e Luigi Montinari a 6 anni e 3 mesi. Pene piuttosto irrisorie per un reato di omicidio volontario. In una lettera di perdono inviata alla mamma di Ramelli, i suoi assassini scrissero: “Non avevamo nulla di personale contro suo figlio, non lo avevamo mai conosciuto né visto. Ma, come troppo spesso accadeva in quel periodo, il fatto di pensare in modo diverso automaticamente diventava causa di violenza gratuita e ingiustificabile”. “…Tu facevi loro paura, caro Sergio, perché avevi un volto troppo pulito, modi troppo gentili e, financo, capelli troppo lunghi per poterti permettere il lusso di stare dalla parte di quelli che loro consideravano alla stregua del nemico da abbattere. Loro ti odiavano perché non hanno potuto amarti, caro Sergio, accecati com’erano dall’esigenza morbosa di affermare e dimostrare la loro presunta superiorità, hanno visto in te e nella tua scelta una sorta di affronto antropologico. Meglio morto che fascista, devono aver pensato, in quelle loro menti atrofizzate dal continuo fluttuare nella bile…” Tratto da “40 anni senza Sergio Ramelli”, pubblicato su “Il Giornale” del 28/4/2015.

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