Diciamocelo pure, la fiducia degli italiani nelle riforme di Renzi sta progressivamente calando, pur restando ancora alta quella nello stesso Presidente del Consiglio. La riforma del lavoro e l’introduzione del contratto a tutele crescenti promettono grandi sconvolgimenti sul piano delle assunzioni, ferma restando, tuttavia, la consapevolezza secondo la quale, senza una riforma fiscale intelligente e un intervento corposo a livello burocratico, ben difficilmente si riuscirà ad incentivare investimenti attraendo capitali, sia nazionali che esteri. La tassazione italiana è altissima, ben al di sopra della media europea, e la prospettiva governativa sul tema rischia di dipingere un quadro che si avvicina più ad uno Stato di polizia fiscale che ad uno Stato equilibrato che finalmente attui la famosa espressione “pagare tutti per pagare meno”. Per il momento, però, i cittadini italiani sono costretti a confrontarsi con un apparato pubblico, più volte definito ladro, che dai piccoli esige sino all’ultimo e senza concedere alcuna tregua, guardandosi bene dal pagare puntualmente a parti invertite. Con i grandi, invece, l’atteggiamento cambia quasi drasticamente, rispecchiando quella viltà tipica di chi con i potenti (e con gli amici e i parenti dei potenti) preferisce chiudere un occhio (o tutti e due). Una sana lotta alla corruzione ed un intervento intelligente in materia fiscale avrebbero dovuto essere presupposti fondamentali nell’agire concreto, senz’altro preminenti anche rispetto al Jobs act.
Con un solo potente l’Italia ha deciso di mostrare i muscoli. Si tratta della Russia. Intendiamoci, probabilmente se fosse stato per noi non ci saremmo mai messi contro il gigante russo, ma proprio per noi hanno ancora una volta deciso l’Ue e, soprattutto, gli Stati Uniti, e ad andarci di mezzo, a causa di questa sterile contrapposizione, è nemmeno a farlo di proposito la nostra economia, considerando che l’Italia è il secondo partner commerciale di Mosca. Le sanzioni contro il Paese guidato da Putin si stanno ritorcendo contro di noi sin dalla fase iniziale, mettendo in difficoltà diverse nostre aziende e parecchi nostri connazionali, ma i nostri rappresentanti in Parlamento e in Europa non si scompongono. L’Italia non è in crisi, quindi può reggere l’urto.
Ironia a parte, già ad agosto dello scorso anno si diceva che le sanzioni ci avrebbero fatto perdere nel 2015 da 1 a 2,4 miliardi in due anni di export vero la Russia. A rimetterci sarebbero stati principalmente il “Made in Italy” e l’industria meccanica, passando per quella alimentare. Quel che è peggio è che, nonostante le previsioni fortemente negative, poi in larga parte confermate, si è deciso a livello europeo di rafforzare ulteriormente le sanzioni e di prevederne di nuove. All’orizzonte vi è addirittura il rischio che le nostre perdite arrivino a toccare quota 10 miliardi di euro, se le contromisure russe dovessero indirizzarsi anche verso altri ambiti economici, nonché in caso di ripercussioni importanti legate al settore energia.
In parole povere, la Coldiretti ha reso noto che l’Italia ha perso nel 2014, da quando sono partite le controsanzioni russe (8 agosto), oltre 1,25 miliardi di export, con riferimento soprattutto all’embargo che ha colpito il settore agroalimentare, seguito dal tessile e dall’arredamento. La situazione è diventata così grave che anche il Ministro degli Esteri Gentiloni ha colto l’eccessivo aumento di rischi per la nostra economia e per la risoluzione della questione creatasi tra Ue e Cremlino. “Qualsiasi iniziativa di rinnovo automatico o di nuove sanzioni – ha dichiarato ad inizio mese Gentiloni – rischierebbe di danneggiare anziché aiutare l’evoluzione della situazione.