di Ilenia Borgia – Sembrerebbe facile, in quanto donna, realizzare un articolo sulla Festa dell’8 marzo, ma non è così. Nel giorno in cui si onora la donna, la si ricorda, la si festeggia, sembra essere sempre presente una nota di ipocrisia, soprattutto se nei giorni che hanno preceduto questa data, l’intera cronaca ruota attorno ad episodi di femminicidio. Solo quest’anno, in Italia, sono stati registrati dati agghiaccianti: una vittima ogni due giorni e su 10 casi, 7 si consumano nel contesto familiare/affettivo. Vale a dire che sette vittime, il giorno prima “ricevevano una mimosa in dono”, metaforicamente parlando. Non si può fare a meno di domandarsi dove va a finire tutto questo rispetto per la donna? E se si continua a ripetere lo slogan “Io, l’8 tutti i giorni”, dall’altra continuano a ripetersi gli abusi sessuali, il mobbing lavorativo, la discriminazione, il mancato riconoscimento di diritti e valori. E ancora, uomini che accusano donne vittime di stupro con commenti allucinanti – “E allora che non si mettano le minigonne” – oppure, peggio, dalle donne stesse – “Si vede che se l’era cercata”. Un quadro sociale completamente differente dal significato di una festa, che riduce a soltanto 24 ore il tempo a loro dedicato. Ventiquattro ore dove ci si dimentica della donna usata come oggetto sessuale, della donna minacciata dallo stalker di turno, della donna che rimasta incinta troppo presto o troppo tardi. Criticate sempre e comunque, penalizzate sempre e ovunque. Tranne che l’8 marzo, quando le convenzioni sociali che impongono il “gesto” di porgere un ramo di mimosa in segno di riconoscenza, vincono sulla visione razionale di una lotta continua da parte delle donne. Donne mai stanche di assistere il proprio compagno, il proprio genitore, il proprio figlio. Donne mai stanche di denunciare, di scappare, di affrontare. Donne mai stanche di scendere in piazza, di ribellarsi, di scrivere libri, articoli, documentari. Donne mai stanche di dover affermare ogni giorno il loro essere vive. Donne forti, perfino quando la criminalità organizzata porta via un figlio. Donne, che per quanto fragili fisicamente, combattono il loro cancro. Donne contro le stesse donne che si pongono dall’altra parte della linea, quelle che della “donna” non possiedono nemmeno il sostantivo.