Poco più di un mese fa, passeggiando per le vie di Londra, mi sono imbattuta in Johnny Depp. L’occasione? Ci trovammo alla première di “Mortdecai”, di David Koepp. Sì, quel David Koepp, e sì, quel Johnny Depp. Nel giro di pochi minuti, tutta la folla riunita dinanzi al Red Carpet dell’Imax Empire Casino, è stata letteralmente inondata da “L’eleganza del Baffo Mortdecai”: tanti mustaches adesivi distribuiti per tutti gli ospiti della passerella londinese. Insomma, la pellicola di Koepp non è stata ancora proiettata che già ci si ritrova tutti, inevitabilmente e baffutamente, contagiati dal vero protagonista del film: il mucchietto di peluria abilmente pettinato sul labbro superiore del buon Depp.
In Italia, “Mortdecai” arriva nelle sale questo week-end e La Cinematologa non poteva fare a meno di correre in sala ad assistere alla versione italiana di quella che – come lo stesso David Koepp ha definito durante le interviste della prima a Londra – vuole essere una commedia-omaggio al cinema di Blake Edwards. In effetti, dentro al pentolone di “Mortdecai”, ritroviamo molte citazioni filmiche che si rifanno alla tradizione cinematografica dell’Action Comedy dai riflessi British, all’eleganza del linguaggio, alle affascinanti componenti della Old-Fashion che, in un certo senso, mettono la firma alla fotografia del film, in questo caso diretta da Florian Hoffmeister.
Comodamente seduta sulla poltrona del mio cinema preferito (non so se avete notato la comodità delle sedute dei cinema The Space, le adoro!), inizia la proiezione di “Mortdecai”, e solo dopo qualche minuto non posso che riconoscere nella prima sequenza, l’apertura di un altro capolavoro della storia del Cinema: “Indiana Jones ed il Tempio Maledetto” (di Steven Spielberg, 1984).
Mortdecai, come il professor Jones nel secondo capitolo della saga di Spielberg-Lucas, si trova in un locale orientale al cospetto del Mister Lao di turno, ed ai suoi scagnozzi. Il motivo: uno scambio tra un oggetto di valore recuperato da Indy/Charlie Mortdecai e la corrispettiva ricompensa in denaro. L’uomo d’affari dagli occhi a mandorla mette “le carte in tavola”, non vuole effettuare lo scambio.
La situazione precipita, dando il via ad una accesa (in “Mortdecai” anche goffa) colluttazione. Se Indiana Jones, l’eroe per eccellenza, riesce ad uscire dalle scottanti situazioni per merito delle sue abilità, Charlie Mortdecai, personaggio molto più accostabile alla figura dell’Ispettore Clouseau di Peter Sellers, ha bisogno di un fido compagno d’avventure pronto a salvarlo, o a favorirne la fuga.
In effetti, sir Mortdecai è perennemente affiancato da Jock, un Paul Bettay magnifico ed irriconoscibile per personalità, rispetto alla filmografia ben nota allo spettatore. Una guardia del corpo/maggiordomo tuttofare che deve ben guardarsi dai nemici collezionati da Charlie Mortdecai, ma soprattutto dalle pallottole del maldestro Mortdecai, il quale – più di una volta – lo ha sparato per sbaglio. Un pò simile al fido servitore di Clouseau (Kato), che – con grande affetto per il padrone – pagava le conseguenze della sbadataggine del caro ispettore.
Freddo e inquietante come il più recente Wilem Dafoe in “The Grand Budapest Hotel” (di Wes Anderson, 2014), pellicola pluri-candidata agli Oscar, ma che a differenza dello spietato Dafoe, Bettany porta con sè la fama di latin lover. Insomma, tanta roba correlata da un cast di spessore come Jeff Goldblum, Gwyneth Paltrow ed Ewan McGregor, e coordinata dalla mimica di Depp, sempre più ricca di “tic” e particolari tormentoni, come il “Conato di Riflesso Imitativo”.
Quest’ultimo, forse, deve aver contagiato quella parte di critici che hanno bocciato – senza alcuna pietà – il film di Koepp, definendolo l’ultima commedia demenziale che pone fine alla carriera del vecchio Capitan Sparrow, ormai giunto al capolinea e capace soltanto di annoiare il pubblico.
Noi non la pensiamo così, anzi. In un panorama cinematografico dove la volgarità del linguaggio scurrile si appropria di ogni battuta con l’intento di strappare un risata, vi è in “Mortdecai” un’eleganza perfino nella descrizione delle più strampalate situazioni (memorabile la pratica di tortura dei russi nella scena rinominata come “Apri le palle!”). Ed ecco che il savoir-faire dandy prende il sopravvento sulla trama, rendendo i dialoghi, e l’intera sceneggiatura, interessanti ed esilaranti.
Non sarà certo la fedele trasposizione cinematografica dell’opera letteraria di Kyril Bonfiglioli da cui esso è tratto (“Don’t poni that thing at me” – Edizioni Piemme), ma “Mortdecai” rientra nella classifica dei film di questa stagione come opera innovativa, metatestualmente parlando, fresca, glamour e ricca di quello “humour inglese” che tanto ci mancava. Della trama non vogliamo svelare nulla, d’altronde, perché rovinarvi l’intreccio narrativo che coinvolge ben tre Paesi (Regno Unito, Stati Uniti e Russia)?
Perché accennarvi l’importanza del baffo alla Mortdecai, che diventa causa e merito delle vicende di sir Charlie? Perché anticiparvi della breve partecipazione di Jeff Goldblum (che ben volentieri ritroviamo sul grande schermo, dopo averlo ritrovato anche in “The Grand Budapest Hotel”), meritevole forse – in entrambi i film – di un destino più longevo? Ad ogni modo, basta chiacchiere: andate al cinema! Nel frattempo, noi corriamo a farci crescere i baffi.
Ilenia Borgia – Critico Cinematografico