Il tema dell’immigrazione è l’ennesimo banco di prova sul quale l’Europa fallisce miseramente. Il passaggio dall’operazione “Mare Nostrum” all’operazione “Triton” – quella, cioè, che avrebbe dovuto sancire la definitiva e consapevole assunzione di responsabilità da parte dei civili Paesi europei – non soltanto non ha determinato alcuna seria assunzione di responsabilità ma rischia, persino, di riportarci pericolosamente indietro. Nel mediterraneo si torna a morire come prima e all’orizzonte non sembra esserci alcuna soluzione che possa, in qualche misura, proiettare gli sforzi verso modelli di intervento diversi.
Non è un caso che già si grida allo scandalo e si inveisca contro chiunque si opponga ai fenomeni migratori non regolamentati, senza scendere nel merito della questione per capire se, fino ad oggi, si è sbagliato qualcosa anche e soprattutto rispetto alla valutazione dei presupposti culturali e sociali che stanno alla base dell’immigrazione stessa. Anzi, c’è chi continua a sostenere che, per risolvere il problema – tutto italiano – del basso tasso di natalità, confermato ancora di più dai dati diffusi oggi dall’Istat, si dovrebbero riempire interi quartieri e paesini semi abbandonati con persone provenienti da altri Paesi. Il tutto sarebbe reso possibile da politiche di integrazione intelligenti. Ma ne siamo proprio sicuri? E’ sufficiente una simile valutazione per risolvere un problema molto più complesso?
Sono diversi i punti di criticità. Per citarne alcuni: si potrebbe rischiare di creare ghetti, comunità chiuse o riserve (di “indiana memoria”), per non parlare poi del fatto che la forzatura dei processi di integrazione in momenti di crisi economica e forte disagio sociale potrebbe determinare il sorgere di fenomeni di intolleranza, trasformando la famosa “guerra tra poveri” in una “scontro socio-etnico”. Ma v’è anche un’altra considerazione, ovvero quella che consiste nel valutare la pericolosità culturale insita nella potenziale e snaturata immagine dell’immigrato come “rimpiazzo”, alla quale si rischia seriamente di pervenire all’interno di una società opportunistica e relativistica. Anche questo è lesivo della dignità della persona umana.
È necessario procedere con cautela. Il ritorno a Mare Nostrum – auspicato da Enrico Letta – “che gli altri paesi europei lo vogliano oppure no, che faccia perdere voti oppure no”, non è la soluzione migliore. Non lo è perché, probabilmente, anzi sicuramente, è arrivato il momento di affrontare il nocciolo della questione. La verità – triste e tragica – è che a quasi nessun Paese cosidetto avanzato – o, meglio, a chi detiene il potere all’interno di questi Paesi – conviene che l’Africa si risollevi, perché questo comporterebbe un mutamento non soltanto degli equilibri di potere geopolitici ma anche nella stessa distribuzione della ricchezza. Le centrali della finanza e i più grandi detentori di ricchezza (il 10% della popolazione mondiale), oltre che le economiche occidentali (ma anche quelle orientali, basti pensare agli interessi della Cina), dovrebbero fare i conti con intere nazioni che si riappropriano delle loro risorse, che sono ancora ingenti, e che si adoperano per migliorare le condizioni di vita dei popoli che le abitano
Il tema va ovviamente approfondito sotto diversi profili ed affrontando anche altri presupposti – basti pensare alle guerre che dilaniano il continente africano, come anche altre zone come la Siria, e a chi ci guadagna da tutto questo e dalla vendita delle armi – ma possiamo iniziare ponendoci alcune domane, oltre che spostando l’attenzione su altri aspetti, Pensiamo alla cancellazione del debito estero del Terzo Mondo, alla rivisitazione degli accordi bilaterali e multilaterali tra i Paesi del Terzo Mondo e i Paesi occidentali che incidono sulle tariffe, al mutamente strategico delle politiche dei prezzi e, non meno importante, all’accettazione eventuale di forme di protezionismo. In merito a questi aspetti decisivi ci si può porre mille interrogativi, ma, forse, ve n’è uno che sta a monte di tutti gli altri: Cosa fa l’Onu? Riposta: niente.
Anche il Premier Renzi pare essersi accorto (finalmente !) della necessità di risolvere uno dei problemi più decisivi, ovvero il “caos in Libia”, se si vuole “evitare che il Mediterraneo diventi un cimitero “.