E’ da oggi in distribuzione in tutte le librerie, su tutte le piattaforme online (Amazon,Feltrinelli.it,IBS ) e sul sito www.cdse.it l’ultimo libro della giornalista e saggista Francesca Viscone, edito da Città del sole edizioni
LA SPERANZA NON È UNA TERRA STRANIERA
Storie di sindaci e amministratori minacciati dalla ‘ndrangheta. Con la prefazione della sociologa Renate Siebert
Scrive l’ autrice nella introduzione al volume . Questo lavoro vuole essere anche un invito alle istituzioni e alla politica a non considerare più soltanto i singoli casi, ma il fenomeno nel suo insieme. Forse c’è bisogno di nuove norme a protezione degli amministratori locali, di pene più severe per chi li colpisce. Finché si continuerà a considerare ogni caso come un caso singolo, si avrà una percezione errata del fenomeno e della sua pericolosità e si tenderà a giustificarlo persino, adducendo a ragione che “gli attentati ci sono sempre stati”. Oziosi e lenti, sudici, oziosi e maledetti, briganti e mafiosi o, tutt’al più, pittoreschi, scrive Vito Teti. Provinciali, mi per-metto di aggiungere, culturalmente inesistenti. Questi gli stereotipi peggiori sui calabresi, latenti o espressi, che dir si voglia. Pregiudizi che si fanno sentire anche nel mondo dell’informazione. Una Regione che non ha peso politico, che non conta niente. E che, in parte, ha anche meritato ciò. Praticare una sana e corretta normalità in terra di mafia è difficile, spesso diventa esercizio per eroi, loro malgrado. Se non sono avvolte in un’aura di eccezionalità ed eroismo, le amministrazioni virtuose sono ignorate da tutti: dai media, dagli intellettuali, dai politici, dai cittadini stessi. A ben guardare, di unaCalabria “normale” non importa niente a nessuno. Ancor meno interessa una Calabria “eccellente”. Eppure normalità ed eccellenza esistono, a stretto contatto di gomito con la corruzione e la mafiosità diffusa. Ed è sicuramente più facile condurre alla sconfitta le prime piuttosto che le seconde. Di questo vi voglio parlare. Di gente comune, piena di pregi e difetti come tutti, che si rimbocca le maniche e va avanti, a volte a tentoni. Di altri che creano gli ostacoli e seminano inciampi. In questo lavoro mi sono occupata di amministrazioni assediate dalla criminalità, di Comuni, di sindaci e comunità, di gente quasi “qualsiasi”, che aveva voglia di fare soltanto il suo dovere. Donne e uomini minacciati, intimiditi, qualcuno persino delegittimato e ingiuriato quotidianamente. Alcuni protetti dalle loro comunità, altri isolati. Le loro vicende hanno aperto nuove strade.In un Paese scosso dalla sfiducia, hanno dato forza. A volte anche l’orgoglio di essere qui e non altrove. Protagonisti di questi racconti sono i sindaci. Essi vanno considerati testimoni privilegiati di un particolare momento delle loro comunità. Ci interessava capire come vivano l’esperienza amministrativa dopo la pressione intimidatoria subìta e se quest’ultima incida, se incide, sulla loro vita privata, sull’impegno nell’amministrazione, sulla loro visione della politica. Un altro aspetto che abbiamo cercato di comprendere è il rapporto di solidarietà o isolamento con la comunità da loro rappresentata. Abbiamo scelto di mettere in evidenza situazioni oggettive attraverso punti di vista soggettivi, a volte cambiandoli nel corso del racconto, facendo intervenire personaggi secondari, come si fa quando si scatta la stessa foto mettendo a fuoco di volta in volta elementi diversi. Questo ci è sembrato l’unico modo per dare voce alla complessità del reale. Non avevamo in mente un’inchiesta giornalistica, ma una via di mezzo tra il reportage di viaggio e l’indagine etnografica condotta con il metodo dell’osservazione partecipante. Non ci siamo posti al di fuori e al di sopra delle vicende raccontate, ma dentro di esse. Se questo è il presupposto per un lavoro anti-scientifico, il nostro, volutamente, lo è.