07\02\2015 – Sono mesi, ormai, che l’interrogativo resta sempre il medesimo: che destino attende il centrodestra italiano? Non sono tempi felici e non solo per le condizioni in cui si trova Silvio Berlusconi, che, almeno per il momento, è il solo ad essere in grado di riportare ad unità politica le varie posizioni interne ed esterne a Forza Italia, ma anche perché la politica italiana corre, ormai, a ritmi quasi forsennati. Nessuno (o quasi) vuole restare indietro e per non perdere posizioni di privilegio, oltre alla corsa frenetica, si è pronti anche a compiere balzi spropositati. I cambi di casacca, si sa, non sono una novità nella nostra storia e, infatti, non stupiscono più del necessario. Valori, programmi, progetti e prospettive, sono sempre sacrificabili sull’altare della “dea partitocrazia”, vero cancro che riesce ad avvelenare ogni processo democratico, ancora peggio delle stesse mafie.
Sul fenomeno del “trasformismo”, riportiamo alcune righe tratte da un articolo di Orlando Sacchelli sul quotidiano ilgiornale.it.
“Il trasformismo – si legge – ha origini antiche. Ufficialmente in Italia vede la luce nel 1882, governo Depretis, con il presidente del Consiglio che pubblicamente auspicò l’ingresso nella maggioranza degli esponenti della Destra storica più progressisti”. È trascorso più di un secolo e, dati alla mano, la storia è sempre uguale, tanto è vero che neppure il vento rottamatore renziano è riuscito a spazzare via questo mal costume (per usare un eufemismo) che degrada la democrazia, appunto, a partitocrazia. Ammesso e non concesso che questo obiettivo rientrasse nel panorama riformatore di Renzi, non è stato, pertanto, raggiunto. Anzi, per salvare capra e cavoli, è lo stesso ex sindaco del Pd che plaude alla scelta di coloro che in queste ore (seguendo l’esempio di ci li ha preceduti) sono appena saliti sul carro del segretario del pd, o sono in procinto di salirci, tra ex montiani, ex vendoliani e, probabilmente, ex cinquestelle. Alcuni hanno preferito l’adesione al gruppo misto. Ma non è tutto. Quest’ultima legislatura – quella anche di Renzi, per essere chiari – a quanto sembra mira finanche a battere tutti i record precedenti, dopo essere riuscita nella triste impresa di rimangiarsi quasi interamente la rottamazione, lasciandoci in dote nient’altro che una mera operazione di market o pubblicità. Nel suo articolo, Sacchelli, mette infatti in evidenza come “i ‘cambi di casacca” abbiano toccato l’alta quota di 173, persino superiore a quello della legislatura precedente (160), che aveva visto la crisi del governo Berlusconi e l’instaurazione del governo “tecnico” presieduto da Monti.