Questo terremoto rappresenta una vera e propria “pietra miliare” nella storia sismica del nostro paese. Nell’attuale versione del Catalogo Parametrico dei Terremoti Italiani (CPTI11) risulta essere il più forte evento sismico (Mw=7.4) avvenuto negli ultimi 1000 anni sull’intero territorio nazionale. Inoltre, per vastità dell’area colpita, numero di vittime e gravità degli effetti provocati, è tra i terremoti maggiormente distruttivi della storia sismica italiana; infine, riveste un’importanza enorme per la colossale e problematica opera di ricostruzione e di riedificazione che modificò radicalmente l’intera rete insediativa di una ampia parte della Sicilia. Il terremoto colpì un territorio vastissimo in due riprese, con due violentissime scosse avvenute a distanza di due giorni. Il primo forte evento si verificò il 9 gennaio 1693 attorno alle ore 21:00 GMT (il tempo medio di Greenwich, orario riportato per convenzione nei cataloghi sismici), le 4:30 secondo l’uso orario “all’italiana” in vigore all’epoca. Nonostante questa prima scossa sia avvenuta a meno di 48 ore dal secondo, ben più grave terremoto, il quadro complessivo dei suoi effetti macrosismici risulta comunque ben documentato. Secondo lo studio di Guidoboni et al. (2007), ripreso dal catalogo CPTI11, la scossa raggiunse un’intensità epicentrale valutabile tra i gradi 8 e 9 della Scala Mercalli-Cancani-Sieberg (MCS). I danni furono gravissimi in centri come Augusta, Avola (l’attuale Avola Vecchia), Noto (l’attuale Noto Antica), Floridia e Melilli, dove crollarono molti edifici. Gravi danni e crolli interessarono anche Catania e Lentini. A Catania, già seriamente danneggiata dalla distruttiva eruzione dell’Etna del 1669, molti palazzi e abitazioni, nonché chiese e monumenti, subirono lesioni diffuse, alcune case private crollarono provocando la morte di 16 persone. A Siracusa molti edifici furono lesionati, alcuni rimasero pericolanti, ma nel complesso i danni furono meno gravi rispetto a Catania. La scossa fu avvertita fortemente, ma senza danni, a Messina e a Malta, e sensibilmente fino a Palermo. Il secondo terremoto – preceduto circa 4 ore prima da un’altra forte scossa che però non aggravò sensibilmente i danni della prima – avvenne il giorno 11 gennaio 1693 alle ore 13:30 GMT (circa le 21 secondo l’orario “all’italiana” in vigore all’epoca) ed ebbe effetti veramente catastrofici. L’enorme gravità di tali effetti fu dovuta anche al fatto che questi andarono in parte a sovrapporsi a quelli della scossa del 9 gennaio. E’ anche vero, però, che l’area colpita fu molto più vasta rispetto a quella interessata dal primo terremoto, tanto che molte località che erano state solo leggermente danneggiate, o non danneggiate affatto il 9 gennaio, questa volta subirono danni importanti o vere e proprie distruzioni. Basti pensare che solo l’area dei danni più gravi risultò estesa su un vasto territorio di oltre 14.000 kmq, che venne completamente devastato. Tutta la Sicilia orientale fu gravemente colpita. Crolli e danni gravi si ebbero fino a Messina e alla costa tirrenica (Patti e Naso), verso nord, e fino a Malta verso sud. Danni diffusi e rilevanti furono riscontrati a Reggio Calabria, Agrigento e addirittura a Palermo, situata a più di 150 km dall’area epicentrale. Danni più leggeri si ebbero fino alle Isole Eolie e in alcuni centri della Calabria centro-meridionale. La vastità dell’area danneggiata, al di là degli effetti cumulati delle due scosse più forti, suggerisce che quello dell’11 gennaio sia stato un evento di magnitudo veramente elevata. Il Catalogo Parametrico dei Terremoti Italiani (CPTI11), che riprende lo studio di Guidoboni et al. (2007), classifica questo terremoto con un’intensità epicentrale pari al grado 11 MCS e una magnitudo momento equivalente (calcolata sulla base della distribuzione degli effetti macrosismici) Mw pari a 7.4, tra le più alte dell’intera area mediterranea. Nella estrema parte occidentale della Sicilia (Trapani, Mazara del Vallo, Marsala) la scossa dell’11 gennaio fu avvertita molto fortemente, ma non sono ricordati danni. Sembra accertato, inoltre, che fu avvertita sensibilmente fino alla Calabria settentrionale e sulla costa tunisina, dunque in un’area vastissima. Le distruzioni più gravi si ebbero nella zona sud-orientale della Sicilia e interessarono i territori corrispondenti alle attuali province di Catania, Siracusa e Ragusa. Furono gravemente colpiti tutti i centri di grande importanza economica e culturale dell’area. Catania, Acireale e i piccoli centri del versante sud-orientale dell’Etna furono quasi interamente distrutti. Tutti i centri della Val di Noto furono praticamente rasi al suolo: tra questi, solo per citarne alcuni, Sortino, Ragusa, Modica, Melilli, Lentini, Avola, Augusta, Noto. Molti crolli e danni estesi si ebbero a Siracusa, Caltagirone, Vittoria, Comiso. Complessivamente si verificarono effetti uguali o maggiori al grado 9 MCS in una settantina di località. Il terremoto, soprattutto la grande scossa dell’11 gennaio, ebbe un forte impatto anche sull’ambiente naturale, producendo effetti d’intensità e dimensioni notevoli su un’area molto vasta. In molte località della Sicilia orientale, sparse tra Messina e l’area iblea, si aprirono fenditure nel terreno dalle quali, in molti casi, furono segnalate fuoriuscite di gas o di acque calde e altri materiali fluidi. Nel territorio ibleo, dove si ebbero i massimi effetti, ci furono frane e smottamenti, che in alcuni casi sbarrarono e ostruirono corsi d’acqua portando alla formazione di nuovi invasi. Tutto il periodo sismico fu, inoltre, accompagnato da un’intensa attività dell’Etna. Gli effetti più rilevanti, però, furono quelli di maremoto. La scossa dell’11 gennaio generò ondate di tsunami che investirono varie località della costa orientale della Sicilia, da Messina a Siracusa. Gli effetti più gravi si ebbero ad Augusta, dove l’onda di maremoto raggiunse l’altezza di 30 cubiti (circa 15 metri) danneggiando le galere dei Cavalieri di Malta ancorate in rada e inondando la parte della città prospiciente il porto. A Catania il mare dapprima si ritirò dalla spiaggia per alcune decine di metri, trascinando alcune barche ancorate presso la riva, poi a più riprese si riversò violentemente sulla costa con onde alte oltre 2 metri che entrarono in città fino alla piazza San Filippo (l’attuale piazza Mazzini). Il periodo sismico fu molto lungo e intenso: le repliche, anche di forte intensità, furono avvertite per oltre 3 anni, almeno fino all’aprile 1696, e misero a durissima prova la capacità di resistenza dei sopravvissuti. L’impatto del terremoto sul contesto antropico fu devastante: la popolazione in molte località fu ridotta drasticamente. Lo studio di Guidoboni et al. (2007) mette in evidenza come le fonti storiche dell’epoca risultino a volte contradditorie sul numero complessivo delle vittime, ma è certo che queste furono decine di migliaia. La statistica ufficiale, redatta nel maggio 1693, riporta circa 54.000 morti, di cui quasi 12.000 nella sola Catania (il 63% dei circa 19.000 abitanti di allora); 5.045 (51%) a Ragusa; 1.840 (30%) ad Augusta; 3.000 (25%) a Noto; 3.500 (23%) a Siracusa, e 3.400 (19%) a Modica. Le condizioni dei sopravvissuti nei mesi successivi al disastro furono di estrema precarietà, tra continue scosse, scarsità di viveri e di beni di prima necessità, mancanza di medici necessari per curare i tantissimi feriti, il costante rischio di epidemie. Catania fu praticamente abbandonata e rimase in mano agli sciacalli e ai ladri. All’epoca il regno di Sicilia era sotto il dominio della monarchia spagnola, come del resto tutta l’Italia meridionale (il Regno di Napoli) e la Sardegna (regno di Sardegna). L’isola era suddivisa in tre “valli”, province amministrative introdotte già in epoca normanna sulla base degli antichi confini arabi: il Val Demone, il Val di Noto e il Val di Mazara. Il settore orientale della Sicilia, quello maggiormente colpito dal terremoto del 1693, si divideva tra Val Demone, a nord, e Val di Noto, a sud, e comprendeva (con l’eccezione di Palermo) i più importanti centri economici e culturali dell’isola, come Catania, Siracusa, Noto e Caltagirone. Gli effetti del disastro sismico sul tessuto sociale ed economico della vasta area colpita furono pesantissimi. L’impatto fu aggravato dal fatto che la situazione economica del regno era già duramente provata da una grave recessione che aveva colpito gran parte dell’Italia a più riprese nel corso del XVII secolo. Tuttavia, se il terremoto nei primi tempi dell’emergenza ebbe l’effetto di deprimere ulteriormente la già precaria economia siciliana, nel medio termine, invece, fece da volàno per la ripresa economica: questa infatti risultò incentivata dalla vasta attività edilizia che investì tutta l’area colpita, attraverso progetti imponenti di ricostruzione e spesso di rifondazione di intere città e paesi, che richiamando molta manodopera riattivarono l’intero ciclo produttivo. Da questo punto di vista, il terremoto del 1693 rappresenta nella storia italiana uno dei pochi casi in cui un disastro sismico si è rivelato occasione di sviluppo e di rilancio economico per le zone colpite. Il complesso processo di ricostruzione impegnò il governo centrale e le amministrazioni locali per molti anni, con interventi che vennero attuati secondo modalità diverse da caso a caso. I cambiamenti di sito furono complessivamente pochi, perché richiedevano l’assenso della popolazione e il parere favorevole del viceré: fra gli insediamenti ricostruiti in un luogo completamente diverso da quello antico ci sono Noto, Avola, Occhiolà (l’attuale Grammichele), Giarratana, Sortino, Biscari (Acate), Monterosso, Fenicia Moncata (Belpasso). Ragusa, invece, fu praticamente sdoppiata, con la creazione di un nuovo abitato. Oltre ai veri e propri cambiamenti di sito ci furono casi di spostamenti a valle: alcuni insediamenti abbandonarono picchi o declivi poco sicuri e furono ricostruiti sui pianori o nelle vallate sottostanti, come Scicli, Buscemi e Ferla. Tutti gli altri centri vennero invece ricostruiti dove già sorgevano precedentemente. In alcuni casi, come a Catania, venne tracciata una nuova pianta urbana, tenendo conto di ciò che rimaneva delle antiche strutture della città, ma anche delle nuove esigenze. In altri casi, come a Lentini, dopo un iniziale tentativo di cambiamento di sito, ci si limitò a rettificare leggermente il tracciato di alcune strade. Tuttavia, la maggior parte delle città, come Siracusa e Caltagirone, furono ricostruite seguendo la pianta originaria. La ricostruzione post-1693, in conclusione, fu caratterizzata da una straordinaria capacità progettuale, da cui nacque l’attuale volto barocco di numerose città e paesi della Sicilia sud-orientale. Questo terremoto, insieme agli altri forti eventi che hanno interessato storicamente questa area, contribuisce a fare della Sicilia Orientale una delle zone a maggiore pericolosità sismica di tutta l’Italia. La pericolosità sismica, infatti, considera la storia sismica di una zona, insieme alle informazioni disponibili dagli studi sulle sorgenti sismogenetiche (faglie che possono generare terremoti), e combina questi dati in una stima probabilistica dei livelli di scuotimento attesi in un prossimo futuro. Oltre al terremoto del 1693, per questa zona il catalogo CPTI11 riporta 3 eventi di magnitudo maggiore di 6 (4 febbraio 1169, con Mw 6.4; 10 dicembre 1542, Mw 6.8; 20 febbraio 1818, Mw 6.2) e 13 terremoti di magnitudo compresa tra 5 e 6. L’ultimo forte terremoto che ha interessato la Sicilia sud-orientale è quello del 13 dicembre 1990, chiamato “terremoto di Santa Lucia” o “di Carlentini” (nome del santo venerato in quel giorno e della località maggiormente colpita); il suo epicentro fu in mare a pochi chilometri dalla costa e la magnitudo Mw fu pari a 5.6. Nelle località investite dall’evento produsse effetti fino al grado 7-8 della scala MCS. La pericolosità sismica generalmente si esprime come il valore dello scuotimento del suolo atteso con una probabilità del 10% in 50 anni (significa che in 10 casi su 100 si potranno avere valori di scuotimento anche maggiori, in 90 casi su 100 si registreranno valori minori di quelli indicati). I diversi colori della Mappa di Pericolosità Sismica descrivono tali valori di scuotimento, misurati come frazione dell’accelerazione di gravità g (9,8 m/s2). In Sicilia orientale la pericolosità sismica presenta valori molto alti, superiori a 0.27 g, che in Italia si hanno solo qui e in provincia di Cosenza.
a cura di Filippo Bernardini (INGV-Bo) e Carlo Meletti (INGV-Pi).