Il tanto osannato asse Reggio-Catanzaro-Roma, durante le ultime campagne elettorali che hanno interessato la Città e la Calabria, inizia a dare i primi frutti. I care, mi faccio carico, diceva Veltroni, E così Renzi, Oliverio e Falcomatà si sono fatti carico di tutte le problematiche del nostro territorio, salvo poi dal giorno dopo delle vittorie sono emerse tutte le incapacità politiche degli eletti, che pedissequamente continuano a ripetere litanie in merito alle condizioni ereditate. Crediamo che i presupposti fossero noti a tutti e la loro scelta di candidarsi, speriamo, fosse stata autonoma con la consapevolezza in caso di vittoria che l’attività politica che avrebbero dovuto svolgere non sarebbe stata lieve. Ma una volta eletti, dando prosieguo alla campagna elettorale, continuano con i piagnistei senza avere la minima cognizione di cosa fare. L’unica cosa certa è che la Città e la Regione subiscono quotidianamente le angherie romane e notiamo, con angoscia, sindaco e governatore costretti subito a correre, a cercare di giustificare, in malo modo, tutti diktat che provengono dall’alto. Senza soluzione di continuità proseguono gli scippi al nostro territorio. L’ultima bella notizia per i Reggini è stata la spoliazione del decreto Reggio di ben 9 milioni di euro in tre anni, correlati alla nuova ed ignobile legge di Stabilità (art. 30 comma D), supportata anche dai parlamentari reggini in cerca di una loro futura stabilità, prendendosi gioco di tutti i cittadini che li hanno eletti. E tutti i viaggi a Roma del sindaco di Reggio e del governatore della Calabria ancora non si riesce a capire a cosa siano serviti se non per costruire le giunte consigliate dai maggiorenti romani del Pd. E l’inconsistenza della politica attuata, oggi, mette con le spalle al muro i vertici democratici calabresi e reggini tanto da costringere Falcomatà ad indire una conferenza stampa, dove indosserà lo scudo e la spada, per cercare di spiegare il perché del nuovo latrocinio subito dalla nostra Città, avvenuto alle sue spalle e senza che ne sapesse niente. Forse.
Il presidente – Enzo Vacalebre