Mentre in Francia, tra polemiche e rivendicazioni, la tensione resta ancora alta per via della notizia della presenza di circa sei complici della cellula terroristica alla quale appartenevano gli integralisti che hanno compiuto gli attentati di Parigi e che sarebbero tuttora in fuga, in Europa si inizia a porre le basi per affrontare la questione alla luce delle informazioni complessivamente a disposizione degli Stati. L’evoluzione del terrorismo negli ultimi decenni, le nuove modalità di reclutamento e di proselitismo, le incertezze rispetto a certa parte dell’Islam moderato, le responsabilità dell’occidente e l’attuale situazione in Medio Oriente e in Africa settentrionale, unitamente, alla presa di coscienza del fallimento di larghissima parte della politiche di integrazione, suggeriscono di concentrare l’attenzione su aspetti diversi e complessi, talvolta anche controversi.
Il primo riguarda i rapporti tra gli apparati istituzionali e di polizia con i luoghi di culto che, in talune circostanze, possono rappresentare centri in cui possono nascere fenomeni di radicalizzazione della fede, anche se individuali. Proprio in quest’ottica, si è tanto discusso della necessità del dialogo, non solo con i responsabili, ma anche con i singoli fedeli, e dell’isolamento, arrivando finanche alla segnalazione, di coloro che possono apparire come potenziali integralisti. A ciò potrebbero anche aggiungersi la registrazione dei luoghi di culto, che devono essere pertanto pubblici, proprio ai fini di un controllo più efficace di frequentatori e divulgatori. Il secondo aspetto, invece, riguarda il coordinamento delle attività di informazione, controllo e reperimento dati, da parte dei servizi di Intelligence degli Stati. Proprio sul tema della collaborazione ha insistito molto Marco Minniti, sottosegretario con delega ai servizi. Minniti ha avuto modo di sottolineare come il terrorismo col quale siamo costretti a confrontarci è un terrorismo di tipo molecolare, rispetto al quale non c’è quindi una strategia centrale, ma la libertà di azione per la cellule presenti sul territorio (molte delle quali tutt’oggi dormienti), composte da piccoli gruppi che hanno, però, un riferimento culturale e politico. Proprio da questa premessa, chiarisce sempre Minniti, nasce l’alto tasso di imprevedibilità. Un problema decisivo, pertanto, è rappresentato dal fatto che per la prima volta nella storia, i terroristi hanno alle spalle uno Stato, l’Isis, che seppur autoproclamatosi (non godendo perciò di legittimità internazionale) e seppur insistendo sul territorio che legittimamente appartiene ad altre due entità invece riconosciute – Siria ed Iraq – è comunque un punto di riferimento decisivo e pericoloso, che finanzia, indottrina ed addestra anche centinaia di giovani europei.
Il terzo, che probabilmente è anche quello più delicato, attiene al rapporto tra libertà e sicurezza, giacché i due ambiti su cui probabilmente le istituzioni saranno chiamate ad intervenire – ovvero la privacy dei cittadini e la libera circolazione – rischiano di essere decisamente, se non compromessi, comunque condizionati da forme e procedure di controllo che potrebbero essere attuate. Alcune, come la tracciatura dei movimenti, nonché la geolocalizzazione, in realtà, già lo sarebbero, se pensiamo alle piattaforme utilizzate da cellulari e tablet. Ma quel che più interessa, in effetti, riguarda la vita all’interno dell’Unione Europea, giacché, come è stato ripetuto sino alla nausea in questi giorni, i “nuovi” fondamentalisti islamici sono cittadini europei e appartengono alla seconda o terza generazione di quei marocchini, algerini e tunisini (ma non solo) che sono arrivati nel nostro Paese parecchi anni fa.
Nello specifico il tema cruciale ha come oggetto la circostanza per la quale da più parti, Spagna e Francia comprese, si sono levate voci perché si riveda il Trattato di Schengen. Non sono dello stesso avviso, invece Italia e Germania. Angela Merkel ha, infatti, chiarito che ciò che conta è rappresentato dallo scambio delle informazioni e dalla collaborazione per la sicurezza delle frontiere. Il nostro Ministro degli Affari Esteri, Paolo Gentiloni, dal canto suo, come si può leggere sul sito del Partito democratico, ha dichiarato che “a livello europeo non si sta discutendo di sospendere Schengen, ma di come utilizzare il sistema informativo tra diversi Paesi dell’Unione”, precisando ulteriormente che “sacrificare la nostra libertà di circolazione” sarebbe un “prezzo inaccettabile da pagare al terrorismo e alla sua iniziativa”. Per quanto riguarda l’Italia – si apprende infine – Gentiloni assicura che il governo “sta compiendo ogni sforzo per garantire la sicurezza del nostro Paese di fronte a possibili atti di terrorismo” e ha ribadito che “non risultano al momento segnalazioni specifiche di minacce”.