“Emozioni e ricordi della guerra di trincea”, al Musmi la lezione del giornalista Nicola Maranesi. Presente il prefetto Luisa Latella

Lezione Nicola Maranesi“Emozioni e ricordi della guerra di trincea” è il tema della lezione che il giornalista Nicola Maranesi ha tenuto questa mattina al Museo Storico militare, all’interno del Parco della Biodiversità, agli studenti del liceo scientifico “Guarasci” di Soverato, del liceo scientifico di Catanzaro “Siciliani” e del liceo classico “Sirleto”, sempre di Catanzaro.  Introdotto da Daniela Pietragalla, la lezione ha visto anche la partecipazione del prefetto di Catanzaro, Luisa Latella. Collaboratore della Fondazione Archivio diaristico nazionale di Pieve Santo Stefano (Arezzo), Maranesi è partito dalle commoventi testimonianze contenute nel suo saggio “Avanti sempre. Emozioni e ricordi della guerra di trincea, 1915-1918”, il Mulino 2014, facendo luce sulle difficili condizioni di vita nella trincea attraverso lo scandaglio di diari ed epistolari inediti dei soldati. L’iniziativa dell’amministrazione provinciale di Catanzaro, alla quale hanno già aderito varie scuole del territorio, si inserisce nelle commemorazioni del centenario della Prima guerra mondiale avviate dal Musmi a fine marzo con una conferenza del professor Franco Cardini sulle cause scatenanti delle ostilità e proseguite a novembre con l’intervento del professor Fabio Todero sugli umori, le sensazioni, la vita quotidiana nel 1914 nei futuri teatri della Guerra. La manifestazione oggi rientra nell’ambito di un più ampio calendario di iniziative istituzionali dedicate alla ricorrenza e concordate attraverso il coordinamento della Prefettura di Catanzaro. Maranesi fa luce sulle difficili condizioni di vita nella trincea attraverso lo scandaglio di diari ed epistolari inediti dei soldati durante la Prima Guerra mondiale: quasi quattro miliardi di lettere e cartoline nello scambio tra fronte e fronte interno, 2.200 lettere ogni tre minuti, quasi al ritmo dei social network.  Per loro la Grande Guerra ha aperto le porte a un cammino difficile scandito da una continua evoluzione di stati d’animo. “Sono soldati che scrivono per lo più alle famiglie, e familiari che rispondono loro. Pensare che prima dell’entrata in guerra, quasi la metà della popolazione italiana censita risulta analfabeta, mentre subito dopo il conflitto è incapace di leggere e scrivere solo un cittadino su quattro. Non che sia tutto merito della guerra – spiega il giornalista ai liceali -, i contestuali miglioramenti nei processi di scolarizzazione aiutano, ma senza dubbio la vita in trincea ha avuto il suo peso”. Quello che Maranesi cerca sono stati d’animo e volti da raccontare dopo aver “decriptato” scritture infantili, incomprensibili, chiare, sbilenche, facendosi largo nel silenzio dettato dalla censura e tra le difficoltà determinate dalla mancanza di alfabetizzazione. Alla ricerca di quelle emozioni vissute dai combattenti Maranesi ha setacciato i diari, le memorie e gli epistolari conservati presso il fondo inedito “Guerra Mondiale 1914-18” dell’Archivio Pieve Santo Stefano. “Il passaggio dalla vita alla guerra rappresenta il punto di non ritorno, catturato nell’attimo in cui il soldato scendeva dal treno che lo portava al fronte – racconta ancora -. Lasciare quei vagoni coincideva con la metamorfosi dell’uomo in soldato catapultato nel fango, nel buio cieco di trincea tra corpi martoriati e sofferenze.”. Il volume di corrispondenza scambiato e le testimonianze autobiografiche ci raccontano che scrivere è la principale occupazione per i soldati al fronte quando non devono adempiere obblighi militari. I soldati attribuiscono un’importanza vitale alla posta ricevuta”. Ma cosa scrivono i soldati nelle loro lettere alle famiglie? “Di guerra si parla poco – dice ancora Maranesi -. Non mancano scritture nelle quali viene dipinta la realtà per quella che è, così come non mancano esternazioni sincere sul pericolo di morte, sulla paura di morire o descrizioni dettagliate degli episodi più raccapriccianti che si consumano al fronte. Nella maggior parte dei casi, però, le lettere sono molto edulcorate. La censura si preoccupa di evitare che circolino informazioni sensibili, e che giungano ai civili le notizie più scabrose sulla realtà della guerra, e non esita a riempire di cancellature le missive. Per chi sta al fronte, mantenere i rapporti con la famiglia significa però soprattutto rimanere ancorato a una vita, ad abitudini, affetti e valori che nel contesto bellico non esistono e che altrimenti, a lungo andare, potrebbero perdere significato. Proiettarsi in una vita normale, passata e futura, dimostra la volontà di uscire fuori dall’incubo della trincea e di non rassegnarsi ad una morte incombe ovunque”. E la Calabria è tra quelle regioni che ha versano il maggio tributo di sangue: l’11,3% dei maschi adulti dei caduti in battaglia provengono dalla nostra regione. Nel parallelo tra ieri e oggi, Maranesi suggerisce ai ragazzi il messaggio positivo che ha tratto dalla ricerca e dal racconto di circa cento storie: mentre oggi i giovani cercano di affrontare la crisi economica e i problemi quotidiani determinati dal contesto in cui vivono, decenni fa i loro coetanei affrontavano difficoltà più drammatiche. Difficoltà che “dobbiamo cercare di superare trovando la forza nel nostro tempo”. “I giovani si portano sempre dietro un patrimonio comune – ha affermato il prefetto Latella -. Dalle testimonianze raccolte dal professore Maranesi cogliamo proprio come i sentimenti di allora non sono molto diversi da quelli che possono essere espressi oggi da parte nostri ragazzi. Erano dei sentimenti di ribellione, legati alla vita di tutti i giorni, alla ricerca di una quotidianità che quei giovani al fronte cercavano di ritrovare poi proprio in quelle lettere ai propri cari”. Il messaggio che, secondo il prefetto Latella, i giovani dovrebbero recepire nei racconti di Maranesi è che “la quotidianità va mantenuta come un fatto prezioso: quello che a volte disprezziamo va tenuto come una ricchezza. Questo perché possono succedere cose che ci trascinano in esperienze che diventano devastanti, e cambiano il mondo di valori e relazioni che ci portiamo dentro”.

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