Matteo Renzi ha pubblicato la sua prima eNews del 2015, la numero 389. Il (non eletto) Presidente del Consiglio, augurando agli italiani un buon 2015, ha , quindi, salutato il nuovo solare – che tra poco più di un mese coinciderà anche con il secondo dalla sua nomina come Capo del Governo, dopo la defezione del Governo Letta, con un manifesto-programma che sembra più una dichiarazione di intenti, condita con l’ormai consueto stile renziano.
Sono complessivamente dieci i punti indicati per l’anno appena iniziato.
“Il primo decreto dell’anno, il numero 1/2015 – si legge – riguarda Taranto”, città nei confronti della quale l’intento del Governo sarebbe quello di salvare l’Ilva attraverso quello che è stato definito un “salvataggio industriale, pubblico, ma anche sanitario e culturale”. Non v’è dubbio che l’idea del salvataggio pubblico è da apprezzare, salvo che non vi siano svendite dell’ultim’ora (e l’ipotesi non è da scartare, considerando il modus operandi dell’attuale esecutivo), sebbene sarebbe ancora meglio aggiungere, a favore dei lavoratori, forme di partecipazione non solo agli utili, ma anche alla gestione dell’impresa (socializzazione e cogestione). Il secondo punto riguarda la già anticipata riforma della scuola, rispetto alla quale Renzi ha già colto l’occasione per salutare con favore gli esiti della partecipazione alla cosiddetta “buona scuola”. “Il 22 febbraio, primo compleanno del Governo – si legge – il PD organizzerà una manifestazione nazionale sul tema della scuola”, occasione in cui si parlerà dei temi oggetto di quello che dovrebbe essere un futuro intervento legislativo.
C’è, poi, la riforma del lavoro, che ha già avuto modo di generare ed alimentare diversi contrasti ed aspre proteste. In questo contesto si (ri)presenta l’occasione per lasciarsi andare ai soliti ed immancabili slogan che hanno accompagnato l’operato del Governo ed i lavori del Parlamento, soprattutto nella seconda metà del 2012: “Più facile assumere, più flessibilità in uscita, ma anche più tutele per chi non ce la fa con lo Stato che si fa carico di accompagnare le persone licenziate”. Tutto questo, poi, andrebbe anche rapportato a quanto previsto dalla legge di stabilità ed alle novità annunciate in tema di Inps. Una parte importante – la quarta – della lettera del Premier è dedicata alla riforma del Fisco, in relazione alla legge delega approvata dal Parlamento. L’obiettivo è quello di rendere il fisco non più feroce nei confronti dei cittadini che sbagliano, ma semplice, chiaro e trasparente. Si tratta di un tema molto delicato, soprattutto ove si considerino le recenti polemiche degli ultimi giorni. Andando per gradi, occorre sottolineare che la data di scadenza è il 20 febbraio, quando cioè tutti i decreti delegati, pronti e da approvare, saranno portati in Consiglio dei Ministri, compreso quello etichettato come “Salva Berlusconi”. Su questo punto Renzi vuole essere chiaro e sottolinea come “il fatto che ci siano “adeguate soglie di punibilità” (penali: il colpevole paga lo stesso, tutto, fino all’ultimo euro ma con sanzioni amministrative e non penali) e che si rispetti il principio di proporzionalità è sacrosanto”. “Poi nel merito si può discutere di tutto – prosegue – cambiare tutto, ragionare di tutto”. Resta il punto di fondo, ovvero cambiare il fisco per tutti gli italiani.
Il quinto punto è dedicato alla Pubblica Amministrazione, in ordine alla quale il disegno della legge delega è già in Senato. è condivisibile la premessa secondo cui si tratta di un settore in cui occorre rivoluzionare tutto – dalle partecipate al pubblico impiego, dalle camere di commercio al funzionamento del Governo – sulla base di alcuni principi cardine: “semplificazione, scommessa sul digitale, razionalizzazione, certezza”. Questa sarà senza dubbio una scommessa importante perché, articolo 18 a parte, proprio le lungaggini burocratiche sono tra le principali cause della carenza di investimenti. Il sesto punto rappresenta l’occasione per introdurre una questione, controversa e mai risolta, e da anni al centro di dibattiti all’interno del nostro Paese. Si è sempre detto, infatti, che l’Italia potrebbe trasformare la cultura – di questo si occupa – in denaro e contribuire notevolmente allo sviluppo socio-economico degli italiani, eppure anche in questo settore strategico la situazione peggiora costantemente. I due punti successivi, il settimo e l’ottavo, riguardano, invece, rispettivamente, legge elettorale e la riforma costituzionale. Di entrambi, nei mesi scorsi, si è detta la qualunque, e si evidenzia, da un lato, la necessità di avere una legge “semplice, chiara, immediata”, che consenta di avere un vincitore certo, attraverso un sistema basato su cento collegi, candidati riconoscibili e preferenze, in virtù del quale “ due terzi dei parlamentari saranno eletti con le preferenze, un terzo con il sistema dei collegi”, dall’altro, la considerazione secondo la quale “il bicameralismo paritario è stato il più grande errore dell’Assemblea Costituente”, ribadendo che quello che si avrà in futuro, a seguito della riforma, sarà il controverso e già criticato Senato delle Autonomie.
Gli ultimi due punti, infine, parlano dell’Europa (l’ultimo) e, nemmeno a farlo di proposito, dell’orgoglio (il nono), una delle parole d’ordine del vocabolario retorico e demagogico del segretario del pd, che non andava bene, invece, quando governava Berlusconi. Ciò che interessa con maggiore preoccupazione sono proprio i rapporti tra il nostro Paese e le Istituzioni europee. Renzi, che continua a criticare l’austerità, poco ha fatto per modificare quanto previsto a livello europeo. Nonostante le continue promesse nei mesi precedenti, fatta eccezione per qualche timida protesta, ha fatto ben poco per cambiare l’impalcatura europea, giacché i recenti intendimenti (peraltro illusori ed insufficienti) della Commissione sono frutto, più che di altro, della presa di coscienza dei pericoli che sta correndo l’eurozona con l’estendersi in tutti i Paesi di movimenti euroscettici. Quel che importa, alla fine, per il Premier, sono soprattutto i risultati ottenuti, tra i quali i salvataggi di diverse aziende. Poco importa che a salvarle non è stato il Governo ma, in diversi casi, imprenditori o speculatori stranieri che hanno avuto accesso al nostro tessuto economico in (s)svendita, per due soldi e a braccia aperte. In altri tempi avremmo avuto chi si sarebbe opposto, optando per soluzioni diverse e, forse, ancora più “entusiasmanti”.