PD e NCD: “Grazie”. Fi e Lega: “Fallimento”
L’ultimo discorso di Re Giorgio, come era del resto prevedibile, più che unire ha diviso. E si tratta di una divisione che, a ben vedere, in perfetta sintonia con la complessiva attività svolta da Presidente del Consiglio, riguarda non solo le varie forze politiche, da settimane protagoniste di contrapposizioni, alleanze che in altri tempi sarebbero state impensabili e goffi tentavi di giustificazione di ogni contraddizione, ma anche il popolo italiano che, questioni nazionali interne a parte, da anni, ormai, è stretto nella morsa – non tanto culturale quanto socio-economica – di un sistema monetario e bancario europeo opprimente e sempre più lontano dalle esigenze dei cittadini (o, almeno di larghissima parte di essi). Il dilemma euro si-euro no, tuttavia, il nostro Presidente lo ha risolto – ma non c’era alcun dubbio – totalmente a difesa delle istituzioni europee e dell’eurozona. Al di là delle altre questioni da lui affrontate, infatti, resta difficile, se non impossibile, capire un passaggio importante. “L’Italia ha colto l’opportunità del semestre per sollecitare un cambiamento delle politiche dell’Unione Europea che accordino priorità al rilancio solidale delle nostre economie – ha affermato il Capo dello Stato – Niente di più velleitario e pericoloso, invece, di certi appelli al ritorno alle monete uniche e della disintegrazione dell’euro”. Sono due i rilievi che possono essere mossi al Presidente.
Il primo riguarda proprio il suddetto semestre, giacché, davvero non si capisce cosa abbia prodotto l’Italia politica di serio e concreto, se non proclami, sterili contrapposizioni che hanno il sapore della teatralità e della finzione, per non tacere del mancato mantenimento della promessa, fatta da Renzi nei mesi antecedenti le ultime elezioni e riguardanti l’assunzione dell’impegno diretto alla rivisitazione dei vincoli nascenti dal Patto di Stabilità. Il secondo riguarda, invece, il “pericolo” del ritorno alle monete nazionali e, quindi, si potrebbe aggiungere, alla sovranità economico-finanziaria degli stati, oggi, considerata dagli eurocritici (sempre in grande aumento) unica ancora di salvezza. Eppure c’è a chi sembra, giustamente, che il vero pericolo consista proprio nel fatto che questa Europa, tacendo sui reali o presunti intenti di chi ne ha immaginato l’architettura, sia stata alla fine realizzata sulle esigenze dei mercati, della grande speculazione e dei grandi comitati d’affari, in una ottica economicistica e mercantilistica della vita, piuttosto che sulle esigenze di integrazione e solidarietà tra i popoli del vecchio continente. È proprio per questo che sono nati i movimenti euroscettici ed eurocritici, che, lungi dal voler dividere l’Europa, rivendicano piuttosto la necessità di elaborare un nuovo modello culturale e sociale di integrazione, che si fondi su presupposti completamente differenti.
Napolitano divide, quindi. Tra i primi ad ammetterlo c’è l’inesauribile Matteo Salvini che, commentando su Fb, minuto per minuto, il discorso del Capo dello Stato, mette l’accento non solo sul pericolo rappresentato dai burocrati europei, ma anche sulla questione importante del ritorno alla “normalità costituzionale”. Il leader della Lega, infatti, sottolinea come “sono anni che chi governa se ne frega della Costituzione, svendendo l’Italia ai poteri forti europei”. Non gli si può dare torno, anzi ci sarebbe da aggiungere che lo stesso Napolitano ha voluto ed appoggiato l’istituzione e l’operato di tre governi consecutivi – Monti, Letta e quello attuale di Renzi – non legittimati dal consenso popolare. E, come se non bastasse, in più di una circostanza si è avuta l’impressione che fosse lo stesso Presidente della Repubblica, che dovrebbe essere il mero garante dell’unità nazionale, a dettare la linea politica sulla base delle “indicazioni” di Bruxelles.
Re Giorgio, però, dal canto suo, ha rivendicato quanto da lui fatto negli anni del suo mandato (ben nove) sino ad oggi, senza lasciarsi andare ad alcuna autocritica, come sottolinea per Forza Italia, Renato Brunetta.
Di avviso diverso – ma anche questo era più che prevedibile – è stato, invece, l’attuale Presidente del Consiglio, Matteo Renzi, anche lui appoggiato e legittimato da Napolitano, benché sia stato imposto senza essere passati da elezioni democratiche. “Nove anni di servizio, autorevolezza, responsabilità – ha twittato il segretario del Pd, negando ogni evidenza – Un Presidente cui oggi possiamo solo dire grazie Giorgio”. A lui si è unito, in un coro che definire imbarazzante è un eufemismo, il Nuovo centro destra. “Sarà difficile succedergli, da Napolitano cuore e generosità per l’Italia – ha declamato Angelino Alfano – Gli dobbiamo gratitudine, ha svolto il suo mandato da grande Presidente”.
Resta solo un’ultima, ma decisiva, considerazione, e a fornirla è sempre Renato Bunetta. “Era stato chiamato, nell’aprile del 2013 eccezionalmente per un secondo mandato, per realizzare la pacificazione, per favorire le riforme costituzionali, e contribuire a far uscire l’Italia dalla crisi economica, nessuno di questi tre obiettivi, a partire dal primo, è stato raggiunto – ha tuonato il deputato forzista, che boccia Napolitano completamente – “E i risultati sono sotto gli occhi di tutti”. Questo ultimo messaggio conferma attraverso le sue stesse parole, con retorica e con coerenza, il suo fallimento”.