Arena e D’Ascola ovvero coscienza e reputazione

Arena D'AscolaSignificativi, gli imbarazzati silenzi sin qui mantenuti dalle note vestali della Legalità; densi di ipocrisia, i commenti alle sconvolgenti risultanze dell’indagine riguardante il Comune di Roma che portano Ministro degli Interni, Presidente del Senato e Presidente nazionale del PD a giurare sulla democratica trasparenza della vita amministrativa dell’Urbe e del suo Sindaco che nega pure quanto impietosamente riflesso persino da imbarazzanti fotografie. E’ l’ipocrisia ufficiale che diventa argine a protezione del “potere” distante dalla gente comune; ad essa si affida la difesa della Capitale travolta dal malaffare elevato a “dignità” di sistema. Ben si comprende, quindi, che non basta più indignarsi per l’ennesima ed inaccettabile disparità di trattamento che le dichiarazioni negazioniste sullo scempio di Roma rilasciate da importanti cariche dello Stato e dai più alti livelli della parte politica che quelle cariche ha occupato, riservano alla democrazia dei tanti Comuni calabresi falcidiati dagli scioglimenti per mafia, a partire da quello reggino. Ormai, un principio di igiene istituzionale impone l’indifferibilità di un impegno normativo che ripensi l’impianto della legge sullo scioglimento dei comuni in termini tali da irrobustire il presidio delle scelte democratiche operate dalle comunità, al contempo riducendo in radice la latenza del rischio che un intervento solutorio possa -come l’esperienza non consente di escludere- divenire strumento dalle finalità particolaristiche, quali l’inseguimento di una partigiana rivalsa ovvero la parvente rassicurazione, da offrire all’opinione pubblica, che “qualcosa s’è pur fatto” contro la criminalità organizzata. Sia, dunque, ben sollecita ed incisiva, la riforma legislativa di una legge scriteriata che in Calabria ha solo aggiunto danno al danno a chi l’ha azionata ed a chi l’ha subita, senza prescindere dall’autocritica, che va fatta esigendo la fine della passiva insensibilità al problema resa palese dalla nutrita pattuglia di Parlamentari Calabresi, totalmente distante mentre la vita democratica delle comunità del territorio regionale veniva raggiunta dalla falce degli scioglimenti e la popolazione indiscriminatamente colpita dal martello mediatico. E’ caduta nella indifferenza dei Parlamentari Calabresi la insopprimibile esigenza di sopravvivenza della Democrazia più e più volte manifestata dagli amministratori locali; ha “meritato” l’oblio una proposta di interpellanza al Ministro degli Interni formulata ai Parlamentari Calabresi dal Sindaco Arena a tutela di un’intera comunità nel momento in cui erano diventate di pubblico dominio le sconcertanti inesattezze della Relazione Prefettizia che aveva condotto allo scioglimento del Comune di Reggio Calabria.

Eppure, nonostante la proposta fosse stata avanzata da Arena a tutela del popolo reggino e tendesse all’esercizio di un controllo democratico sul lavoro prodotto dalla Commissione d’Accesso al Comune di Reggio, la stessa ha incontrato l’inopinato distacco del Senatore D’Ascola, che quella stessa “istanza” algidamente liquidò alla stregua di “questione personale” di un Sindaco rimosso. Se questo accadimento ha del paradossale -e forse trova spiegazione nel fatto che si diventa Sindaco perché è il Popolo ad eleggerti, contrariamente alla nomina che anticipa l’avvio della carriera di parlamentare-, l’attualità, segnata dalle vicende romane, stimola un’amara riflessione in vista delle scelte da compiere subito, ed in tal senso si confida nel senso di identità territoriale fortemente avvertito da Antonio Caridi, Senatore di tutta la Città di Reggio Calabria. La pochezza della classe dominante calabrese è la causa prima della reputazione che altrove si è storicamente avuta del territorio regionale. Giuseppe Pica, deputato abruzzese (quando si dice il caso!), già nel 1863 e senza pudore alcuno, sul Mezzogiorno d’Italia parlava apertamente di “grande corpo criminale da sanare con la più dura cura, con una grande opera di chirurgia governativa fatta di amputazioni totali, di radicali punizioni”, non senza soffermarsi sulla necessità di “una legge eccezionale”, che giunse puntualmente con il marchio di fuoco del suo nome. Utilizzando il remake taurianovese della Legge Pica, due anni orsono Reggio è stata bollata in via preventiva facendo ricorso alla ineffabile categoria della “contiguità”, fatto, questo, dimostrativo di un sensibile arretramento culturale per superare il quale adesso si esige uno scatto d’orgoglio delle rappresentanze parlamentari tutte, a fronte della popolare consapevolezza che “il pesce puzza sempre dalla testa”. Sarebbe, questa, una prima, irrinunciabile manifestazione di accettabile coscienza di sé: tutt’altra cosa rispetto alla “reputazione” che i Calabresi per primi hanno alimentato altrove ed a loro stesso danno. Nel separare la coscienza dalla reputazione, Charlie Chaplin sottolineava come la prima riguardasse l’identità, mentre la seconda fosse solo espressione di ciò che gli altri pensano di noi, rivolgendo comunque esplicita esortazione a privilegiare sempre ciò che si è. E’ troppo chiedere oggi ai Parlamentari Calabresi che essi operino perché la reputazione della stragrande maggioranza dei Calabresi sia destinata a rimanere solo un problema degli “altri”?

Oreste Romeo (Reggio Futura)

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