La lettura del responso delle urne regionali consegna agli Italiani il rilevantissimo successo del partito del non voto. E la prima impressione, sovente la più affidabile, inevitabilmente è destinata ad occupare il nucleo essenziale di qualsivoglia analisi del dato elettorale. Già nella fase della campagna elettorale era emersa, prepotente e preoccupante, la latitanza di un accettabile dibattito politico: la proposta di superamento del drammatico presente che tracciasse un’idea di futuro per nostra comunità non ha mai impensierito i cervelli del ceto politico, anzi è sembrato che si sia avuta maniacale cura di solo rispettare la “precedenza” dei progetti personali dei notabili di turno e delle logiche dei gruppi di riferimento.
Questa era l’inaccettabile premessa della involuzione che ormai segna le dinamiche sottese all’agire, sempre più autoreferenziale, dei partiti politici; e conseguenze ancora più gravi non si sono fatte attendere sul versante della deriva dell’antipolitica. Al di là dei peana di maniera, offensivi a tacer d’altro, un dato sembra granitico nella sua oggettiva evidenza, checché ne possa pensare e dire il diretto interessato: Renzi ed il suo governo sono e restano privi della legittimazione popolare; e tale lacuna non può certamente ritenersi colmata dall’esito di questa tornata elettorale, indetta “in nome del Popolo Italiano” quale diretta conseguenza di una legge di dubbia costituzionalità rispetto alla quale solo ora la sinistra ipocrisia si manifesta folgorata lungo opportunistici percorsi metagiuridici. In altre parole, Renzi ed il suo governo non potranno consentirsi il lusso di glissare, in compagnia dei nuovi Governatori, sulla esasperazione manifestata dalla gente davanti all’annichilimento del rapporto tra il Popolo e quel “Palazzo” cui si accede, con sempre più crescente ed allarmante frequenza, per trasformismo o stretta osservanza alla regola dell’esser generali di se stessi, ovviamente dopo essersi immancabilmente ammantati di “responsabilità” come solo il diabetico in crisi ipoglicemica suole fare con l’insulina.
La personalizzazione del “dibattito politico” tra opposti schieramenti e tra le fazioni interne ad uno stesso schieramento ha prodotto il risultato che nell’opinione pubblica non fosse stimolata una pur minima forma di interazione con un corpo sociale ormai sfibrato.
Nella torre di Babele dello schieramento che oggi in Calabria è maggioranza, già emergono, e ben presto cresceranno, i malumori tipici della corsa all’oro, e ciò inevitabilmente aggiungerà caos al caos, prima che questo sia “governato” secondo regole ben note a professionisti della politica di antico pelo che di nuovo hanno solo saputo regalare il loro ritorno in auge, in alcuni casi offensivamente diretto, talvolta, ma altrettanto spudoratamente, per interposta persona. Si rimane, qui nel profondo Sud, ed una volta di più, in balia dell’alternanza, tecnica infallibile perché sia tradita la speranza della gente offrendo alla stessa l’illusione momentanea di un retorico “cambiamento”.
In realtà, si tratta di tecnica efficace per anestetizzare l’ansia di riscatto di una comunità interessata a crescere valorizzando la propria identità territoriale che, tuttavia, il livello centrale archivia infastidito in quanto “irrilevante localismo”, in ciò avvalendosi dei complici servigi del relativismo identitario dei nostri “migliori” rappresentanti sul livello romano.
L’avanzata di Salvini, che rende dell’Emilia Romagna l’idea di una terra dal colore ormai sfumato, rappresenta un elemento di rottura in grado di assicurare attendibile certificazione al nostro malessere, delle cui cause dice molto, tentando, al tempo stesso, di offrire una indicazione idonea a consentire ad un centrodestra polverizzato la formulazione di una proposta politica nuova, realmente attenta alle istanze territoriali, soprattutto in grado di ottenere larga condivisione oltre gli stereotipi delle appartenenze, lì dove la stessa avesse un’impronta federale. Ascoltare la voce del silenzio del partito del non voto rende più sicuri davanti a qualsiasi vento di “cambiamento”. Anche davanti all’uragano calabrese.
Oreste Romeo (Reggio Futura)