Il giorno dopo l’annuncio del premier, Matteo Renzi, sulle possibili modifiche da apportare alla riforma del lavoro, in tema di reintegro, il Partito democratico sembra aver cambiato modus operandi. Dalla tesi secondo cui è finito il tempo in cui le piazze possono modificare quanto stabilito dal Governo si è passati alla nuova tesi, espressa dal vicesegretario, Lorenzo Guerini, secondo cui è necessario ascoltare non solo la piazza, ma anche le sigle sindacali che non ci stanno. Tutto ciò farebbe ridere, perché perfettamente compatibile con la peggior politica di avanspettacolo, se di mezzo non ci fossero le vite di milioni di italiani, in alcuni casi, per la verità in aumento costante, vissute in condizioni di disperazione. La coerenza e l’affidabilità – ormai lo si può ben dire – non sono le caratteristiche che contraddistinguono l’attuale esecutivo a trazione democratica.
Per un movimento – quello di Renzi e della compagnia dei (finti) rottamatori – che avrebbe dovuto portare una ventata di rinnovamento radicale e rottura col passato, si può dire, almeno fino ad ora, che la missione sti miseramente fallendo. Quando si parla degli interventi più importanti, niente è mai chiaro, tutto è lasciato alla libera interpretazione personale, ogni aspetto può subire stravolgimenti repentini da un momento all’altro, senza nessun preavviso e contraddicendo quello che si è detto sino a qualche giorno prima. Questo è la politica italiana oggi, in perfetta continuità con certa politica – quella che nelle intenzioni dell’ex sindaco di Firenze si doveva combattere – del recente passato.
Il Nuovo centro destra di Alfano, che fa parte della maggioranza su cui si regge la fiducia al “non democratico” Governo Renzi, non fa eccezione. Alle parole di fuoco pronunziate, ieri, da Sacconi, che era arrivato ad ipotizzare finanche la fine della coalizione, fanno seguito quelle pronunziate, oggi, sempre dalla stesso Sacconi che afferma che si sta lavorando ad un accordo perché ci sarebbero tutte le condizioni per raggiungerlo. Il presupposto è che il governo dia rassicurazioni in merito all’obiettivo di non attenuare la portata innovativa della riforma. Sull’articolo 18 è stato lo stesso Ministro dell’Interno, nonché leader di Ncd, Angelino Alfano, a chiarire che “il tema è uno ed è che il fannullone deve poter essere licenziato”. Secondo l’ex numero due del centro destra italiano, infatti, “l’articolo 18 deve andare via” e si deve “restringere le fattispecie in cui intervenga il giudice”, prevedendo la possibilità di dare i risarcimenti in automatico. Per quanto concerne i licenziamenti ingiusti, ovvero quelli disciplinari ma illegittimi, per i quali sarà previsto il reintegro, dovranno essere limitati e tipizzati. Obiettivo che, molto probabilmente, sarà conseguito con i decreti delegati.