Per essere un Presidente del Consiglio che non gode di legittimità popolare, in quanto non votato attraverso elezioni democratiche ma nominato per far fronte ad una crisi politico-istituzionale che rischiava di compromettere irrimediabilmente la già precaria condizione socio-economica del nostro Paese, il segretario del Pd, Matteo Renzi, in fatto di eccesso di arroganza, non è secondo a nessuno. C’è chi dice, addirittura, che sia stato imposto, come terza chance, al pari di chi lo ha preceduto, dagli stessi ed identici poteri, a seguito dei due precedenti Governi tecnici di Monti e Letta, reputati troppo deboli per portare avanti quel progetto, neppure troppo nascosto, di imposizione nei confronti dell’Italia di una serie di modifiche del nostro assetto economico e finanziario.
E non parliamo, quindi della lotta alla corruzione e agli sprechi, come neppure di interventi di modernizzazione e semplificazione in ambito economico e burocratico, ovviamente necessari e condivisibili, ma, come detto, del mutamento strutturale degli assetti economici nazionali per soddisfare i principi imposti dalle istituzioni europee. Mutamenti tutt’altro che trasparenti e che, dietro gli slogan e la retorica della classe politica, nascondono situazioni che hanno ben poco di condivisibile, prima fra tutte la svendita – non ci stancheremo mai di dirlo – attraverso le privatizzazioni, di quello che resta di importante del nostro tessuto economico a favore di investitori (leggasi avvoltoi e speculatori) esteri. Tutto ciò rientra nell’ambito del piano politico diretto all’attrazione di nuovi investitori, anche in questo caso prima di tutto stranieri, che, giocoforza, richiede interventi drastici sul lavoro, non indirizzati a rendere il lavoro più sicuro, ma a rafforzare la flessibilità (in entrata, oltre che in uscita) per andare incontro alle esigenze degli imprenditori e concedere loro quelle condizioni necessarie alle assunzioni e agli investimenti. A ciò si aggiunga l’intervento sull’Irap, i bonus di 80 euro e i piccoli interventi per le nuove assunzioni e il quadro è (quasi) completo. Non lo è totalmente perché, nonostante quanto detto, le assunzioni non arrivano, gli investimenti sono fermi (speculazione a parte), i lavoratori si sentono sempre più spogliati dei loro diritti e i potenti, quelli che contano davvero, non i ladri di polli, sono sempre saldamente al loro posto.
Ma a Renzi tutto questo non interessa. Lui tira dritto per la sua strada. A chi lo critica replica a tono, a chi protesta indirizza inviti alla calma e all’accettazione (perché, alla fine, si farà come dice lui), a chi propone, o tenta di proporre, qualcosa di diverso, risponde voltando le spalle. Nonostante non sia passato dalle elezioni, per l’ex sindaco di Firenze, infatti, il 41% preso alle ultime elezioni europee dal PD è fonte di piena legittimazione popolare, tanto è vero che adesso, secondo lui, quel 41% va sfruttato giacché, ora più che mai, ci si deve “giocare il tutto per tutto perché l’Italia si rimetta in moto”. Ovviamente con chi ci sta o, meglio, con chi sottostà alle disposizioni assolutistiche del suo Governo. Si dialoga con tutti – sottolinea – ma alla fine decide solo il Governo. Se i presupposti sono questi, dunque, si tratta di un dialogo fine a se stesso, irrilevante, anzi completamente inutile.
È stato sufficiente che Forza Italia esprimesse una posizione di dissenso (peraltro poco incisiva) rispetto all’aumento della pressione fiscale nel contesto più ampio della manovra economica, nonché il mancato accordo definitivo sulla legge elettorale, perché Renzi, in modo ironico ed indisponente, arrivasse ad affermare che il Patto del Nazareno non solo scricchiola, ma sarebbe addirittura quasi in crisi. Se lo abbia detto perché effettivamente ritiene che sia cosi o solo per dare un piccolo contentino a qualcuno dei suoi non è dato a sapersi, almeno per il momento.
Fatto sta che il Premier, che ribadisce la sua volontà di non scappare dinanzi alla crisi ma il suo fermo intento di andare al di là della semplice ricucitura di qualche strappo, continua a ripetere che “bisogna essere più fiduciosi sul futuro del nostro Paese“. Gli slogan, ormai, sono sempre gli stessi: basta gufi, l’Ue deve cambiare, puntare sul digitale, rimbocchiamoci le maniche, ecc.
In serata, tuttavia, arriva la replica del consigliere politico di Silvlio Berlusconi, Giovanni Toti. L’europarlamentare – che con i suoi consigli, soprattutto quelli recenti, cui ha dato il suo eccelso contribuito, in ordine a matromony gay e ius soli, provocando grande confusione e smarrimento all’interno dell’elettorato di centrodestra – ha invitato il Presidente del Consiglio a fare maggiore chiarezza in merito al pazzo del Nazareno, perché quello che noi chiediamo – ha chiarito – sono modifiche condivise.