Si ritorna a parlare di Gioia Tauro e della istituzione della Zona Economica Speciale. Diventa interessante, pertanto, passare in rassegna le vicende che riguardano questo comprensorio ad elevata vocazione industriale. A Gioia Tauro sorge un immenso porto monofunzionale interessato, allo stato attuale, dall’attività di transhpiment , vale a dire la redistribuzione dei container nei porti del Mediterraneo. La costruzione del porto di Gioia Tauro è avvenuta agli inizi degli anni ’70 per una destinazione completamente diversa da quella che ne è l’attuale utilizzazione. Il porto venne realizzato, infatti, a servizio di quello che sarebbe dovuto essere il Quinto Centro Siderurgico, che sarebbe dovuto sorgere, su iniziativa dell’I.R.I., quindi a capitale pubblico, nell’area immediatamente retrostante il porto stesso, in posizione grosso modo equidistante dai centri di Gioia Tauro e San Ferdinando, là dove sorgeva l’abitato di Eranova. Purtroppo, l’impianto siderurgico di Gioia Tauro, che nelle previsioni avrebbe dovuto determinare un’occupazione diretta di 7.500 lavoratori, e di altrettanti nell’indotto, non fu costruito, per una serie di motivi che qui possiamo sinteticamente elencare:
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La guerra del Kippur, dell’Ottobre del 1973, determinando un aumento del prezzo del petrolio, era diventata la causa di una crisi internazionale che aveva coinvolto inevitabilmente anche il comparto siderurgico; segnali di crisi che si sarebbero mostrati in tutta la loro evidenza negli anni Ottanta con la chiusura degli impianti di Bagnoli, presso Napoli, di Cornigliano, presso Genova, e di Sesto San Giovanni, presso Milano, ed il ridimensionamento di altri: tra il 1979 ed 1994, in Italia, oltre 16 mila lavoratori del settore hanno perso la loro occupazione;
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La piena diffusione delle materie plastiche, che in molti casi sostituiscono l’acciaio, aveva costituito un altro motivo di ridimensionamento del settore dell’acciaio;
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Per quanto riguarda, poi, la localizzazione a Gioia Tauro, erano emerse, in seguito, delle perplessità in ordine alla natura geologica dei suoli, che avrebbe potuto portare a fenomeni di subsidenza come si osservano ancora oggi nell’area di Marghera, presso la Laguna di Venezia; ed in relazione, inoltre e soprattutto, all’elevato rischio sismico presente nella zona;
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Per ultimo, non bisogna dimenticare che l’allora Comunità Economica Europea, nel Dicembre 1977, si era espressa in maniera negativa a qualunque decisione italiana di ampliamento della capacità produttiva di acciaio.
Nell’ottobre del 1993 veniva dato l’annuncio che il Gruppo Contship, operante a livello internazionale quale armatore ed operatore intermodale del trasporto container, aveva presentato al Ministero dei Trasporti un progetto per realizzare nel porto di Gioia Tauro un grande terminal container, dedicato principalmente al transhipment ed aveva avanzato richiesta di concessione per l’effettuazione dei relativi lavori che avrebbero implicato per il concessionario investimenti per 275 miliardi senza oneri per lo Stato. La prima nave porta – container ha attraccato alla banchina di Gioia Tauro nel settembre del 1995; nel giro di qualche anno lo scalo gioiese è diventato il primo porto di transhipment del Mediterraneo, posizionandosi intorno ai 3 milioni di Teus (la portata delle navi portacontainer si misura in teus, dall’inglese Twenty Feet Equivalent Unit, cioè unità equivalente da 20 piedi (il container standard). Si è così arrivati, oggi, a vedere gli oceani solcati da navi dalla portata di 6-7 mila teus, lunghe oltre trecento metri, che possono dirigersi solamente verso pochi porti al mondo che siano adeguatamente dimensionati ed attrezzati per accoglierle. A tal proposito, si ricorda che il 4 agosto 2010 al porto di Gioia Tauro è giunta la “Maersk Edinburgh”, tra le navi più grandi al mondo: con una lunghezza di 366 metri per 48 metri di larghezza, ha una capacità di trasporto di ben 13mila e 500 teus). Il transhipment, così come si svolge a Gioia Tauro, non ha che una minima ricaduta di positivi effetti economici indotti sul territorio circostante, trattandosi di una semplice redistribuzione dei containers dal porto di Gioia Tauro agli altri porti del Mediterraneo ad esso collegati. A meno che …
Il transhipment può costituire un potente fattore di localizzazione industriale in presenza di significativi incentivi da parte del Governo, sia sotto forma di esoneri fiscali, sia sotto forma di sovvenzioni, sia sotto forma di esenzioni a favore di imprese industriali che vogliano localizzarsi nell’area industriale localizzata nel retroporto. Gioia Tauro è un porto monofunzionale, ossia svolge solamente questa funzione di redistribuzione dei container all’interno del bacino del Mare Mediterraneo, per cui possono localizzarsi nella retrostante area industriale solamente quelle attività produttive che rientrano nella logistica di assemblaggio di componenti che viaggiano con i contenitori. La monofunzionalità del porto di Gioia Tauro complica di molto le cose. Solitamente, un porto polifunzionale, o comunque di tipologia tradizionale, è una infrastruttura che costituisce il naturale punto di sbocco di un’area produttiva di livello già consolidato: la costruzione di un porto, dunque, è successiva allo sviluppo di una regione geografica, ed è la naturale conseguenza della crescita economica di un territorio. La costruzione di un porto può diventare un fattore di localizzazione industriale solamente in presenza di incentivi fiscali, doganali o tributari da parte del Governo a vantaggio di un’area industriale prossima al porto e che spesso viene denominata Zona Franca o Area Franca o Zona Economica Speciale. Le Zone Economiche Speciali (ZES) furono istituite in Cina a partire dagli anni ’80 con la riforma dell’Economia Socialista di Mercato voluta da Deng Xiao Ping, il successore di Mao Tse Tung. Nelle ZES cinesi vige un particolare sistema di franchigia doganale sulle merci destinate alla lavorazione industriale e, successivamente, all’esportazione, ed una completa liberalizzazione e flessibilità del mercato del lavoro. Ciò ha consentito uno straordinario sviluppo economico delle aree interessate, come testimoniato dal caso della prima ZES costituita, nella città di Shenzen: agli inizi degli anni ’80 Shenzen, situata nella baia di Hong Kong, dove sorgono anche le città di Macao e Canton era una cittadina di 25.000 abitanti, mentre oggi è una metropoli di 3 milioni di abitanti. E’ questo il modello a cui bisogna riferirsi. Nel Mediterraneo possiamo segnalare alcuni casi significativi.
TANGERI. Il governo del Marocco sta provvedendo all’ampliamento del porto di Tangeri, realizzando quello che viene denominato TangerMed II che, una volta completati i lavori, sarà il più grande porto del Mediterraneo, con una capacità potenziale di 8 milioni di TEUS: “grazie allo sviluppo di tutta una serie d’incentivi che contribuiscono ad aumentare l’interesse nei suoi confronti da parte delle imprese straniere interessate a delocalizzare la produzione (ad esempio IRES 3 “Imposta sul Reddito delle società” allo 0% per i primi 5 anni e al 17,5% per gli anni seguenti, IRPEF al 20%, sostegno alla formazione continua, flessibilità della legislazione sul lavoro, tariffe telefoniche e contratti di locazione fino al 30% inferiori rispetto ai prezzi di mercato, e un regime doganale e fiscale speciale – previsto l’esonero d’imposte sull’acquisizione di terreni, di licenze industriali per un massimo di 15 anni, sui ricavi delle azioni e sui redditi dei non residenti – come del resto per la Tanger Free Zone e le altre piazze offshore vecchie e nuove (CasaNearShore Park, che si estende su una superficie di 290.000 m2 e può ospitare oltre 30.000 lavoratori, il TechnoPolis di Salè-Rabat, che si sviluppa su una superficie di 300 ettari, il parco integrato di FèsShore – consegna della prima tranche del progetto è prevista per il giugno del 2010 – che potrà disporre di una superficie di 131.000 m2) ” 1 .
EGITTO. In Egitto ci sono 8 Zone Franche pubbliche: Nasr City, Alessandria, Port Said, Suez, Ismailia, Damietta, Media Production, Shebin El Kom.
“…I progetti di investimento realizzati in una Zona Franca pubblica sono considerati, per molti aspetti, “off-shore”. Dal punto di vista amministrativo, la Legge n.8/1997 ed il Decreto n.2108/1997 ad essa collegato hanno sostanzialmente ribadito i principi giuridici fondamentali a disciplina della materia, già contenuti nella precedente normativa (Legge n.230/1989), e cioè:
– esenzione fiscale e doganale per quanto riguarda i capitali e i beni strumentali introdotti nell’ambito di un progetto produttivo (Art.32);
– esenzione doganale per i beni prodotti in Zona Franca e riesportati verso paesi terzi;
E’ invece previsto il pagamento dei seguenti diritti:
1% sul valore delle merci introdotte nell’ambito di un progetto di immagazzinamento (Art.35);
1% sul valore delle merci che escono dalla Zona Franca, se riferite ad un progetto industriale (Art.35) ” 2 .
IZMIR (SMIRNE). A circa 40 km a Nord del porto di Izmir (Smirne) sorge la Zona Franca di Izmir – Menemen.
“…E’ la prima area franca con uffici del mondo del settore pelli, che fu fondata nel 1998 da 138 operatori nella produzione della pelle in Turchia.”
GEORGIA. Importante stimolo degli investimenti stranieri è stata adottata nel 2008 con la creazione della Free Economic Zone nell’area del Porto di Poti, in concomitanza con l’acquisto, da parte della holding degli Emirati Arabi “RAK”, del 99,99% del pacchetto azionario della S.p.A. Poti Seaport. Il concetto alla base del progetto è di mettere a disposizione degli investitori un’area il più possibile libera da vincoli, prossima ad un terminal moderno, collocato in un punto strategico del Mar Nero, da cui far facilmente partire e o arrivare i prodotti da trasformare o commercializzare. L’iniziativa coprirà una vasta area industriale (oltre 300 ettari dedicati alla zona economica di libero scambio, 100 ettari all’area portuale e circa altri 250 ettari di terreni). La RAK si è impegnata a realizzare nei prossimi anni numerose opere infrastrutturali, che consentiranno lo sviluppo del porto e un flusso di investimenti che si prevede possa superare il miliardo di dollari. Alcuni dei vantaggi di cui potranno beneficiare gli investitori sono: tariffe agevolate per l’affitto di terreni e magazzini, esenzione fiscale (100%) sui profitti e loro libero rimpatrio, piena convertibilità valutaria, esenzione dal pagamento dell’IVA su import ed export di prodotti.
Ecco, quindi, che tenendo conto di questi esempi, appare chiaro che l’opportunità per l’area industriale del porto di Gioia Tauro diventa proprio questa, ossia quella di inserirsi all’interno delle reti internazionali di relazioni commerciali – industriali – organizzative, e favorire l’insediamento di industrie che si occupino dell’assemblaggio di un prodotto finito.
Prof. Giuseppe Cantarella
Cattedra di Economia italiana e del Mezzogiorno
Facoltà di Giurisprudenza
Corso di Laurea in Scienze economiche
1 Istituto nazionale per il Commercio Estero, Rapporto Congiunturale 1° semestre 2009;
2http://aretusa.ice.it/GuidaAlMercato/GuidePaesi/220/Restrizioni%20ed%20incentivi%20agli%20investimenti%20esteri.html