Questioni minori a parte, poco affascinanti e conseguentemente di scarso impatto mediatico, il dibattito politico sembra ormai essersi bloccato sulla riforma del lavoro e sulla manovra economica. E, ogni qual volta si torna a discutere, riemergono con forza le dure contrapposizioni che stanno dividendo il Paese nelle ultime settimane, con drastiche punte di radicalizzazione, soprattutto, negli ultimi giorni. Divisioni non solo trasversali, come si è avuto modo di precisare in diverse circostanze, ma anche interne agli stessi schieramenti, Pd docet.
È difficile non solo cancellare dalla mente i duri scontri verificatisi qualche giorno fa tra lavoratori e forze dell’ordine, ma soprattutto le parole del finanziere Davide Serra, ospite quasi fisso dell’attuale (non)eletto Presidente del Consiglio, Matteo Renzi, e della Leopolda. Anche lui figura tra i finanziatori della (controversa) rimpatriata annuale fiorentina dei sostenitori del segretario del Pd. È sufficiente fare qualche ricerca sul web per capire chi sia Serra, come si guadagni da vivere e quali siano le sue roboanti ed illuminanti idee in ambito socio-economico.
Continua, quindi, senza dare segnali di distensione, la frattura tra maggioranza e minoranza del Partito democratico. Sulla riforma del lavoro, meglio nota come Jobs act, torna a farsi sentire Stefano Fassina che, ritenendo un segno di debolezza politica porre la fiducia sulla delega al lavoro anche alla Camera, dopo averla messa al Senato, ribadisce la propria posizione di forte dissenso, criticando l’impostazione liberista delle politiche “democratiche” del Governo.
A dar mano forte alla minoranza Pd ci pensa, nemmeno a farlo di proposito, il leader della Fiom, Maurizio Landini. Il sindacalista – che esclude, oggi, una sua eventuale discesa in politica, magari per guidare un ipotetico partito alla sinistra del Pd, in grado raccogliere consensi a differenza di quanto non siano riusciti a fare Vendola con Sel e Ferrero con le varie sigle con cui negli ultimi anni ha tentanto furbescamente, ma anche inutilmente, di riproporre rifondazione comunista – ricorda che in gioco non c’è soltanto il tanto discusso articolo 18 dello Statuto del Lavoratori. Su un aspetto, però, non esprime nessuna titubanza. L’unica strada percorribile “per far cambiare idea al Governo – puntualizza – è di convincerlo che noi abbiamo la maggioranza dei consensi. Bisogna convincere Renzi che contro il lavoro non va da nessuna parte”.