Il dibattito sull’articolo 18 ha generato tesi molto contrastanti e, per certi veri, controverse. Più in generale, tra contestatori e sostenitori della riforma sul lavoro, l’oggetto del confronto riguarda soprattutto le assunzioni, tappa fondamentale ed imprescindibile al fine di ridurre la disoccupazione e far ripartire, di conseguenza, consumi e crescita. Da più parti, tuttavia, è stato giustamente sottolineato che, per conseguire questi obiettivi, era necessario fare qualche passo avanti. E cosi è stato. Forse. Le proposte del Governo in merito hanno fornito qualche elemento ulteriore di argomentazione. Ma il problema però è che si sono altri elementi, piuttosto seri, da prendere in considerazione.
Questo perché, riforma del lavoro a parte, il richiamo ai tagli alla spesa pubblica e i richiami alla legge di stabilità destano molta preoccupazione. Visto il peso che rischia di gravare soprattutto su comuni e regioni è subito nato un duro braccio di ferro tra questi ed il Governo che, come sempre – non trattandosi delle istituzioni europee, dinanzi alle quali non si fa scrupoli nell’assumere atteggiamenti di accettazione totale, mal celati da finte prese di posizione opportunistiche – ha preferito mostrare immediatamente i muscoli, salvo poi fare qualche passo indietro dinanzi alla chiara eventualità di creare conflittualità serie anche all’interno della stessa maggioranza che sorregge l’attuale esecutivo. Le regioni si sono, addirittura, spinte a minacciare servizi essenziali, come quelli sanitari per i quali, secondo il Presidente della regione Lombardia, Roberto Maroni, se la Legge di Stabilità resta così avrà “conseguenze catastrofiche”, giacché “in Lombardia si rischia la chiusura di almeno 10 ospedali, l’aumento dei ticket, delle addizionali Irap e Irpef e tagli a infrastrutture e trasporti”.
A dare man forte a Maroni ci ha pensato il Presidente della regione Lazio, Nicola Zingaretti, secondo cui “per alcune Regioni il rischio è quello di entrare in disavanzo e quindi l’aumento in automatico di Irpef e Irap e per Regioni come la mia – ha continuato – quello di non procedere a un abbassamento delle tasse che era già preventivato e figlio di una buona programmazione e di un buon governo”.
Il presidente della Conferenza dei Presidenti delle Regioni, nonché Presidente delle regione Piemonte, Sergio Champarino, invece, dopo un confronto diretto piuttosto accesso, ha fatto ricorso a toni più concilianti e invita il Governo ad incontrarsi per un confronto, sebbene abbia precisato che la manovra prevista resti comunque insostenibile.
Matteo Renzi, dal canto suo, ha parlato di alibi e ha invitato le regioni a eliminare gli sprechi e ridurre certe pretese, piuttosto che minacciare di alzare le tasse. Tagliare i servizi sanitari sarebbe inaccettabile – ha tuonato il leader del Pd – piuttosto si tagli qualche Asl o qualche nomina di primario” Questo, secondo il Presidente del Consiglio, è necessario se l’obiettivo è quello di ridurre la pressione fiscale per tutti e rilanciare quelle politiche necessarie per porre le basi per la crescita e favorire le condizioni per attrarre investimenti. Anche le regioni, dunque, devono dare un contributo al pari delle famiglie italiane.