Quando Mario Monti eseguì uno dei ‘compiti a casa’ e fece votare al Parlamento la rescissione del contratto con l’Eurolink (general contractor) bloccando l’iter realizzativo del Ponte sullo Stretto, si fece circolare la leggenda metropolitana che l’operazione era stata decisa perché il progetto esecutivo non avrebbe retto alla prova dei fatti e il Ponte, una volta completato, sarebbe rovinosamente crollato. La leggenda in parte attecchì dato che non si capivano i motivi che spingevano a rinunciare ad un’opera che non gravava totalmente sulla finanza pubblica perché, per almeno il 60%, ci si rivolgeva al mercato internazionale dei capitali col sistema del project financing. E alcuni importanti investitori cinesi erano pronti a investirci tanti soldi. La prova, comunque, che si trattava di una leggenda, oggi, ci viene fornita da Impregilo (capofila dell’ATI aggiudicataria dell’appalto) che invece di incassarsi le penali previste per la rescissione, e che supereranno il miliardo di euro, con grande senso di responsabilità, fa sapere attraverso il suo AD, Pietro Salini, che “Siamo disponibilissimi a rinunciare alle penali se il progetto ripartisse”. E’ chiaro che questa disponibilità nasce dalla certezza della validità degli elaborati progettuali a cui hanno partecipato il fior fiore degli esperti del settore (dal Giappone alla Danimarca, dal Canada, alla Spagna e agli USA), tutto portato a termine sotto il controllo attento della Parsons Transportation Group, Società statunitense leader mondiale nella progettazione e costruzione di ponti sospesi. “E’ un’opera importantissima – ha continuato Salini – come vetrina per l’industria del Paese perché non si tratta solo di realizzare il Ponte, ma anche di dare visibilità a tutta una filiera tecnologica importante e poterci presentare nel mondo, facendo vedere cosa siamo capaci di fare”. Del resto la tecnologia che sta alla base del progetto viene già copiata in tutto il mondo. Ma la decisione scellerata del Governo Monti e del Parlamento che ne ha, affrettatamente, avvallato le scelte senza i dovuti approfondimenti, dimostra la pochezza culturale e la inconsistente preparazione professionale dei protagonisti della vicenda. Da chiunque commissionata quella operazione si è rivelata cervellotica, autolesionista e poco lungimirante sia sotto il profilo tecnico che sotto l’aspetto economico. Cervellotica dato che con le penali non si sarebbe risparmiato neanche un euro mentre addirittura ci si caricava di oneri incredibili senza ritorno, prefigurando il danno erariale. Autolesionista perché i tecnocrati al potere, in odore accademico e di stampo autocratico rinunciavano a sfruttare la realizzazione di una grande opera che, sin dall’inizio della sua realizzazione, si sarebbe rivelata elemento di traino per la ripresa economica che, invece, i ‘compiti a casa’ hanno teso a differire in assenza di un disegno di crescita e di lungo respiro, acutizzando viepiù la persistente congiuntura economica. Insomma un’operazione poco lungimirante rispetto allo sviluppo e alle immense opportunità derivanti da un Ponte realizzato ed utilizzato pienamente. Questo non solo per l’attrazione turistica internazionale che lo stesso è destinato a determinare (che di sicuro avverrà); non solo per la velocizzazione degli spostamenti dei pendolari dei territori interessati (che pure ci sarà); non solo per l’Alta Velocità ferroviaria che il Ponte porterebbe con sé liberando il meridione dall’isolamento in cui si trova (che ipso facto sopraggiungerà); ma soprattutto per il completamento di quel corridoio TEN-T5 che attraversa l’Italia in verticale e che, tramite l’Alta Capacità ferroviaria diventerà la più appetibile via di comunicazione per il trasporto dei container da e per i Paesi che interscambiano con l’Europa. Con le ricadute che si conseguiranno in termini di ricavi economici e di indotto lavorativo, se finalmente dovesse attivarsi il raccordo fra i commerci navali afro-asiatici (30% del commercio mondiale) e i porti dell’Area dello Stretto, da Augusta a Gioia Tauro. Giova appunto ricordare come l’antica Roma considerasse di alto valore strategico ed economico l’Area dello Stretto, i cui limiti si estendevano ben oltre lo Stretto di Messina tra il basso Tirreno e lo Ionio, da sud di Siracusa a nord delle Isole Eolie. Ora serve un programma di riqualificazione dell’intero sistema logistico di quest’Area, attivando i collegamenti dei porti con le ferrovie AV/AC e con la rete stradale ed autostradale, affinché i container non siano mobilitati solo per il transhipment, ma sbarchino sui territori e vi generino indotti industriali e artigianali. A tale scopo è necessario avviare bandi adeguati per la creazione di retro porti in grado di servire le piccole e medie imprese locali e, soprattutto, attrarre quelle nazionali ed internazionali. In linea concettuale con questa visione il Governo Berlusconi aveva dato forte spinta a rinnovare i fastigi dell’Itinerarium Maritimum (K. Miller, Itineraria romana, Roma 1964 LXVII), intessendo stretti rapporti con la Libia su base paritaria. Proprio mentre assisteva alla visione del filmato della costruzione del Ponte sullo Stretto che ingegneri e tecnici gli avevano riservato, quale Presidente del Consiglio del tempo, Silvio Berlusconi fu raggiunto dalla notizia della famosa lettera della Bce, come ci racconta Brunetta nel suo ultimo libro “Berlusconi deve cadere”. Notizia che fece capire a entrambi come il sogno stesse svanendo e le vicende italiane si immettevano in un vicolo stretto. Ma non tutto è perduto. L’esperienza di Berlusconi e la vitalità del premier Matteo Renzi possono ancora rimediare ai danni prodotti da mentalità chiuse, di epoca feudale. Nel disorientamento generale emerge da un articolo su ‘Il Giornale’, l’ingegnosa, inedita proposta del prof. Francesco Forte (con un pregevole articolo su Il Giornale) che indica come liberarsi degli oneri finanziari – in questo momento difficili da reperire – legati alla quota statuale da impegnare per la costruzione del Ponte attraverso la loro trasformazione in crediti di imposta scaglionati nel tempo, a favore del General Contractor. Ci vuole dunque una chiamata alle armi per risolvere lo scandalo secolare: forte determinazione e molto coraggio che, al duo Berlusconi e Renzi, certamente non mancano.
Giovanni ALVARO, Cosimo INFERRERA, Bruno SERGI.