Il Jobs act, l’ennesima riforma della discordia, che divide politica, sindacati e le altre associazioni o istituzioni che rappresentano la società civile, continua a generare aspre discussioni anche all’intero degli stessi schieramenti. Il premier, Matteo Renzi, è infatti impegnato in una delicata partita diretta, da un lato, a difendere l’operato del Governo e i programmi che ne stanno alla base, dall’altro, ad evitare che i precari equilibri interni al proprio partito possano, in qualche modo, compromettere il percorso intrapreso.
È per questo, attaccando duramente coloro che, secondo lui, vorrebbero “ cogliere la palla al balzo per tornare agli scontri ideologici e magari riportarci al 25%”, chiarisce che, diversamente da quanto si tenta di far crede “c’è chi trova soluzioni provando a cambiare e chi organizza convegni lasciando le cose come sono”.
Non c’è dubbio che, a livello comunicativo, il segretario del partito democratico sia riuscito a mettere su una efficiente ed efficace macchina da comunicazione ma, a forza di andare avanti con slogan, si rischia di dare scarsa importanza alla trattazione dei contenuti.
Quando Renzi parla, infatti, è sempre la solita retorica sul cambiamento, sulla rottamazione, sulla difesa di diritti di chi sino ad oggi non sarebbe stato sufficientemente tutelato, nonché sulla riduzione della carico tributario. Su quest’ultimo punto, la perplessità è cosi tanta che chiedersi se davvero il popolo italiano creda che la riduzione della pressione fiscale la si attui restituendo soldi (i famosi 80 euro) ma lasciando che aumentino le imposte e tasse locali (e non solo), è quasi atto di lotta politica.
Perché, a parte quel discutibile provvedimento che, tra l’altro, non ha neppure influito sui consumi, in merito alla concreta riduzione delle imposte, non restano altro che slogan: pagare tutti per pagare meno (ma non si sa ancora come), fisco più snello e meno pesante (ma non si sa ancora come), diminuzione del costo del lavoro (ma non si sa ancora come), bloccare la crisi e favorire, prima la ripresa e poi la crescita (ma non si sa ancora come) ed, infine, attrazione di investimenti per far aumentare i posti di lavoro e ridurre il tasso di disoccupazione.
In quest’ultimo caso, invece, si sa come procedere: riforma dell’apparato burocratico a parte, soprattutto attraverso la svendita di ciò che resta della nostra economia. Renzi assicura che in questi mesi la compagine governativa sta lavorando duramente e il prossimo appuntamento del 29 settembre, quando il Jobs Act verrà presentato in direzione nazionale, sarà molto importante. Ci scuserà il premier se mostriamo qualche dubbio.
A proposito, c’è un’altra questione particolarmente delicata che ci sta a cuore e che vorremmo venisse ripresa e chiarita, e riguarda i rapporti tra il nostro Paese e l’Europa in merito alla trattazione di alcune odiose regole europee.
Si era detto, qualche mese prima che iniziasse il semestre italiano di presidenza del Consiglio dell’Unione europea, che, non appena fosse iniziato tale semestre, i nostri rappresentanti politici avrebbero dato battaglia per difendere le esigenze del nostro Paese. Ebbene, non solo il semestre è bello che iniziato ma sono, addirittura, trascorsi quasi tre mesi, senza che niente sia cambiato. L’unico dato certo che emerge oggi è la presenza di tanti, troppi, slogan e parole altisonanti, da un lato, insignificanti risultati, peraltro più che deludenti, dall’altro.