Sta facendo discutere, sul mondo dei social network, l’esito della top ten stilata dal sito Almalaurea, ovvero, il risultato dei sondaggi effettuati grazie alle testimonianze degli studenti delle varie facoltà d’Italia dopo aver conseguito la laurea. Secondo la classifica del consorzio universitario, denominata “la classifica delle facoltà più inutili”, risulta che le maggiori tre facoltà che registrano il più alto numero di disoccupati siano: Giurisprudenza (primo posto), Psicologia e Lettere. Seppur il titolo sia ingannatore, lasciando pensare ad una svalutazione della laurea corrispondente a tali facoltà, in realtà – andando al di là della denominazione – si può tranquillamente apprendere come si tratta di una difficoltà d’impiego nel settore. Il resto della classifica – formata da Scienze Sociali, Lingue e Letterature Straniere, Scienze della Comunicazione, Scienze Politiche, Arte e Design, Filosofia, Agraria e Sociologia – fa parte di quella schiera di studi umanistici che vede un tasso occupazionale molto basso. Di fatti, Medicina e Chirurgia, Ingegneria, Biotecnologie, Farmacia e Scienze Statistiche si “salvano” dall’elenco Almalaurea, poichè riescono ad avere una quasi immediata sistemazione, dei laureati corrispondenti, entro il primo anno post laurea. Il vero problema delle facoltà umanistiche rientra, soprattutto, nella mancanza di una buona mediazione tra i vari settori di studio ed il mondo del lavoro. Capita, di fatti, che ci sia una relazione diretta tra i Campus Universitari e le Aziende e questo non può far altro che agevolare l’inserimento dei tirocinanti, o degli studenti più meritevoli, all’interno delle realtà lavorative ben avviate. Questa possibilità viene ridotta quando si tratta di campi di studio dove tale rapporto non può essere effettuato, o difficilmente coltivato. Ed ecco che un giovane laureato in giurisprudenza si ritrova a dover fare i conti, nonostante la propria lodevole pergamena di laurea in mano, con tanta competizione, lo sfruttamento tipico per i giovani “senza esperienza” ed i vari “figli di”. Non stupisce dunque l’esito della classifica, che risulta essere un triste specchio per i giovani diplomati che si accingono a scegliere un percorso universitario da intraprendere. Come si evince dalle considerazioni effettuate a freddo (come espresso dal collega Biagio Chiariello) va considerata un concetto base che dovrebbe risiedere nella scelta di queste giovani matricole, e cioè la consapevolezza che – indipendentemente dall’agevolazione dell’inserimento nel mondo del lavoro da parte di alcune facoltà – è necessario valutare quale sia il trasporto personale verso una particolare attitudine e (in questo caso) campo di studi. Va tenuta viva la voglia di accostarsi a quel settore che soddisfa ogni propria esigenza culturale. Da un’altra indagine, a proposito degli studenti uscenti da facoltà umanistiche, si è notato come lo studente laureato possieda una flessibilità culturale e mentale che lo porta ad essere favorevolmente “multitasking”, ovvero, un terreno verde su cui possono esistere competenze compatibili con i settori aziendali. Non bisogna dunque demoralizzarsi davanti ad un grafico indicativo e dal titolo demoralizzante, ma puntare sulla propria determinazione e sulla possibilità di sfruttare e rielaborare le proprie potenzialità. Lo studente dalla buona preparazione umanistica non si vedrà mai limitato nello svolgere un compito tecnico o specifico, ma avrà sempre la possibilità di “cavarsela” grazie al punto di vista completo al quale è naturalmente proteso.