Aspettando la festa della Graziella, dopo la bamparizza di San Giovanni, al paese, la vita scorreva senza alcuna possibilità di annoiarsi. Un turbinio di giochi, notizie, dibattiti ed emozioni, ci tenevano occupati. Ogni mattina si organizzava un gioco diverso, delimitandone il campo, nel più ampio territorio delle tre frazioni. La mattina, in attesa della organizzazione del gioco, il raduno era al salone di Vincenzo, dove ascoltavamo alla radio o leggevamo sul giornale le notizie: Il governo Leone era stato varato il 21 ed ora si attendevano le prime manovre . La sera al muretto si ascoltavano i racconti, le polemiche ed i dibattiti, sempre accesi, ma sempre molto civili ed intrisi di reciproco rispetto, dei grandi, in quei giorni incentrati sulle aspettative nutrite nei confronti del Governo: secondo alcuni avrebbe risolto tutti i problemi, secondo altri non sarebbe cambiato nulla “…sunnu i soluti mangiatari…”. Intanto mia sorella Paolina aveva partorito, meglio gliela aveva portata “a Larenza”, la cicogna del paese, la seconda figlia, mia nipote Concettina.
Era venerdì mattina, quando decidemmo di arrivare, in perlustrazione, alla chiesa della Graziella. Il giorno dopo sarebbe iniziata la festa e volevamo capire come scegliere il posto migliore per parteciparvi. Decidemmo di andarci attraverso il viottolo dei giardini Vilardi e tornarci attraverso Serro Castello e l’Asparella. Fu un percorso fantastico, troppo bello il paese, troppo bello ogni angolo. Ogni angolo una scoperta, ogni angolo un incontro di gente, che osservandoci ci attribuiva paternità e maternità e non mancava di offrirci qualcosa o di raccontarci gli intrecci e gli alberi genealogici, per cui scoprivamo alla fine di essere, con ognuno, o parenti o compari (sangiuanni).
All’angolo in cui il viottolo confluiva nella stradina della Graziella, che scendendo si sarebbe poi immessa, di li a pochi metri, nel guado del torrente Prumo, c’era una delle tante fontane pubbliche. Una piccola fontana invero, dove l’acqua scorreva continuamente. Ma non andava sprecata. Vi era infatti, quasi annesso, un lavatoio, nel quale finiva il rivolo d’acqua, per riempire le vasche, nelle quali le massaie facevano il bucato. L’acqua sporca sarebbe finita nel torrente. Quella non utilizzata, seguendo il rivoletto che andava oltre le vasche, riempiva una “gebbia” per irrigare il giardino, in aggiunta a quella del Consorzio, sempre più scarseggiante, via, via che l’estate avanzava e gli ortaggi maturavano e sempre più alternativa a quella delle fontane. Era l’ennesimo lavatoio del paese. Li conoscevamo tutti, perché il nostro branco finiva spesso per farvi una capatina ed “abbeverarsi”. Le massaie allora smorzavano i discorsi e sollecitavano la nostra “operazione”.
Come al muretto si potevano ascoltare i discorsi degli uomini più grandi, al lavatoio si potevano ascoltare le donne. Avevano un modo di conversare però molto meno chiaro degli uomini, fatto di sorrisi, chiare allusioni, ammiccamenti ed occhiolini vari, soprattutto in presenza dei bambini. Parlavano e raccontavano dei mariti, dei fidanzati, dei primi amori, degli attesi principi azzurri. Ma erano bellissime le nostre massaie, le nostre mamme e le nostre sorelle.
Osservando i lavatoi, avevo appreso due cose. L’acqua non va sprecata mai. E’ la risorsa più preziosa del quale l’uomo non può fare a meno. Uomini e donne sono animali socievoli. Quando sono in branco, solidarizzano sempre e si aiutano vicendevolmente, ponendo a base del loro rapporto amicizia e rispetto.