La notizia dell’ultimo sbarco di 1593 immigrati a Reggio Calabria è stata diffusa quest’oggi nel mondo arabo dall’emittente televisiva Al Jazeera. Una troupe, guidata dal giornalista marocchino Aiman Zoubir, ha colto le riflessioni dei cittadini reggini percorrendo le vie della città, i punti di accoglienza dei nuovi immigrati e i punti di ritrovo della popolazione straniera già inserita nel contesto cittadino. Una città fatta di volontari, gruppi parrocchiali, forze dell’ordine che con grande impegno apre le braccia a quelle persone che hanno affrontato un lungo e straziante viaggio per sfuggire alla guerra, alla violenza, alle miserie della vita con la speranza di rendere migliore il proprio futuro. I Reggini sono ospitali, non solo a parole, pronti a donare l’assistenza necessaria a chi ha bisogno anche se le disponibilità economiche sono esigue. Punto di partenza per il servizio di Al Jazeera è stata l’intervista a Giuseppe Tedesco, presidente dell’AISF ONLUS – Associazione Immigrati Senza Frontiere – che opera da molti anni in città. “E’ necessario trasformare la parola Accoglienza in Eguaglianza – ha affermato Tedesco – quell’eguaglianza che, è giusto ricordare, avrebbero meritato anche i nostri meridionali che ai primi del Novecento emigravano in America per cercare fortuna, affrontando un lungo e faticoso viaggio in nave per poi essere tenuti in “quarantena” prima di ricevere il visto di permesso di soggiorno provvisorio. Il paragone con gli Immigrati di oggi che rischiano la loro vita animati solo da un barlume di speranza appare quanto mai adeguato.” Il presidente dell’AISF ha poi continuato augurandosi che l’operazione Mare nostrum che si concluderà nel mese di ottobre sia condivisa da tutta la comunità europea con l’operazione Frontex plus. “Un’operazione che non sia di facciata ma che coinvolga seriamente tutti gli Stati con i loro indispensabili aiuti i termini di uomini e di mezzi, soprattutto sanitari.”, ha concluso Tedesco. L’unica preoccupazione che traspare da buona parte della Cittadinanza, infatti, è il rischio della diffusione incontrollata delle cosiddette “malattie dimenticate”, rimosse dalla memoria collettiva e relegate ad un passato che riemerge adesso prepotentemente.
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