Mario Draghi. Un nome, un programma. Quale? Quello dell’eurozona. Il Presidente della Bce, dinanzi al fallimento delle visione economica e monetaria dell’Europa dei tecnici e dei banchieri, non più tardi di una ventina di giorni fa ancora tuonava contro gli stati membri tanto da arrivare ad affermare che “non è solo l’Italia a faticare, ma tutta l’eurozona e per questo serve una riflessione”. Aggiungendo che “alcuni dati dicono che persino paesi come la Germania, che sta molto meglio di noi, iniziano a dare segnali non molto belli”, era tornato a parlare in merito alla cessione di sovranità da parte degli Stati a favore delle Istituzioni europee. Insomma, nella visione di Draghi, come in quella di coloro che lo hanno preceduto, è necessario fare di tutto per salvare i mercati, la moneta, gli investimenti. Dell’unione dei popoli, che non è un’unione di natura economicistica e materialista, ma culturale, spirituale e politica, interessa a ben pochi. Perché il punto di partenza per creare un vero senso di cittadinanza europea è la prima che farebbe da base alla seconda. Il fallimento di questa impostazione ormai è noto a tutti. L’austerità ha amplificato il senso di disillusione e sfiducia generale e ha dato il suo grande contributo a peggiorare drasticamente una situazione già abbondantemente compromessa. Come si può chiedere ai popoli europei di favorire un processo che porti a cessioni di sovranità – sovranità già per altro ampiamente mortificata in barba alle carte costituzionali e ai processi democratici – se l’Europa che stiamo vivendo è politicamente divisa e se le divisioni lacerano finanche gli stessi schieramenti, non solo tra di loro, ma anche al loro interno? Il quadro non cambia in merito alle questioni di politica estera. Libia, Russia, Siria, Iraq sono motivi di attrito che provocano inevitabili contrapposizioni, per non parlare del possibile allargamento dell’Unione europea a paesi come la Turchia e Israele.
Insomma, il presente di questa Europa è sempre in bilico, ad un passo dal burrone, l’equilibrio non lo si scorge nemmeno nelle più rosee aspettative. In questo quadro poco confortante Mario Draghi, l’italiano (si fa per dire!) Mario Draghi, tra austerità, cessioni di sovranità, critiche alle politiche degli stati membri, pur continuando a rivendicare la necessità di riforme nazionali strutturali, necessarie a risolvere problemi come la disoccupazione e la ripresa economica, ha affermato che la Banca centrale europea sarebbe pronta a fare di più e a ricorrere a misure non convenzionali per la bassa inflazione e la crescita debole. Nel suo intervento a Jackson Hole ha, infatti, sostenuto che il Consiglio direttivo della Bce “e’ pronto a usare anche strumenti non convenzionali per salvaguardare il saldo ancoraggio delle aspettative di inflazione a medio e lungo termine”. Colpo di scena? Non è chiaro. È non è neppure chiaro in cosa consisteranno questi interventi. Un aspetto è comunque certo e lo chiarisce lo stesso Draghi: se, da una parte , le istituzioni europee si dichiarano pronte a rivedere le politiche monetarie ed economiche, dall’altra , i governi degli stati membri devono concordare sul fatto che “nessuna quantità di aggiustamenti fiscali o monetari può sostituire le necessarie riforme strutturali”, senza le quali non è possibile creare quelle condizioni indispensabili a favorire, prima, e ad incentivare, dopo, la crescita e l’occupazione. Il presidente della Bce, a tal proposito, aggiunge che “la flessibilità esistente, all’interno delle regole, potrebbe essere utilizzata per affrontare meglio la ripresa debole e per fare spazio ai costi necessari a realizzare le riforme strutturali”.